giovedì, Maggio 16, 2024
AlimentazioneAllevamento

Gli allevamenti italiani sono eco-sostenibili

Presentato a Roma il libro “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità”. Nuovi studi rivedono le emissioni a meno 4,4 milioni di anidride carbonica equivalente all’anno. La carne artificiale avrebbe impatti superiori di 25 volte rispetto a quella naturale

La diatriba impazza sui mass media e in particolare sui canali televisivi nazionali: carne “artificiale”, o sintetica, o la vecchia, buona carne naturale? La risposta non è facile, visti soprattutto gli argomenti che ciascuno dei fautori delle due parti porta a sostegno delle proprie verità. Ultimo in ordine di tempo il libro “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità, di Elisabetta Bernardi (biologa nutrizionista), Ettore Capri (professore ordinario in Chimica Agraria alla Cattolica) e Giuseppe Pulina (ordinario di Etica e Sostenibilità degli allevamenti all’Università di Sassari), edito da Franco Angeli e presentato oggi a Roma.

Partiamo proprio dalla questione carne sintetica sì o no, che è solo una delle parti in cui si divide il libro che spazia su tutti gli aspetti della produzione di carne in Italia. Durante la conferenza stampa di presentazione, Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, ha ricordato la necessitrà di mantenere vivo il legame tra terra e produzione del cibo: “La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo” ha detto, ricordando che “secondo FAO e OMS esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possiible consumo di carne artificiale” In particolare ha evidenziato che “mancano gli studi necessari per dire che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici ne antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”. E non basta, per quel che riguarda la sostenibilità a suo dire “recenti studi più accurati ci dicono che la produzione di carne artificiale attraverso bioreattori potrebbe avere un impatto climalterante fino a 25 volte superiore a quello della carne naturale”.

Resta il fatto che la richiesta di alimenti di origine animale, secondo uno studio della FAO, vedrà un aumento del 30% entro il 2050 (+29% carne. +25% uova, +37% pesce) e quindi – parlando di sostenibilità – il comparto dovrà essere in grado di produrre di più continuando a ridurre i propri impatti ambientali: un percorso che – secondo gli autori del volume – a livello mondiale ha già ridotto del 20% le emissioni pro-capite in 30 anni a fronte dell’aumento della popolazione di 2,5 miliardi di individui. Ma qual è la situazione in Italia, dove il settore zootecnico vale il 15% di tutto l’agroalimentare con un fatturato di quasi 30 miliardi di euro, 513 mila addetti e circa 170 mila aziende agricole? t

“Oggi l’agricoltura pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti – ha spiegato Giuseppe Pulina – di queste il 3,5% sono imputabili alle filiere della carne, escluso latte e uova”. Secondo i dati ISPRA 2023, infatti, i settori le cui emissioni impattano maggiormente sul clima restano l’industria energetica (55%) e i trasporti (24,7%). “Ma quello che è più importante – ha detto ancora Pulina – è che quando si parla di impatto ambientale della zootecnia dobbiamo cominciare a ragionare in un’ottica di equilibrio: in questo comparto, infatti, emissioni e sequestro delle stesse avvengono nello stesso posto e nello stesso momento. Nuovi studi ci dicono che negli ultimi dieci anni in Italia le attività zootecniche non solo non hanno impattato sull’ambiente, ma hanno contribuito a raffreddare l’atmosfera con emissioni ricalcolate cumulativamente a meo 49 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente”.

Un dato importante che si basa sulle revisioni delle metriche proposte dal team di fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford pubblicate su Nature e applicate al nostro sistema dagli studiosi dell’Università di Sassari sulla base dei dati Ispra dal 1990 al 2020. “Lo studio – sostiene Pulina – prende in considerazione per la prima volta la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, come il metano, e quelli a vita lunga come l’anidride carbonica: considerando che il metano ha un’emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni, significa che, a tasso di emissioni costanti, il metano non si accumula in atmosfera e non la riscalda, al contrario di quanto fa invece l’anidride carbonica”.

Sul tema della sostenibilità degli allevamenti italiani si è soffermato anche Ettore Capri ricordando come il nostro sistema zootecnico sia un modello avanzato di economia circolare. “Negli ultimi anni – ha sostenuto – abbiamo assistito ad una progressiva presa di coscienza del comparto che ha metodicamente provveduto a rigenerare le risorse e a diminuire gli scarti”. Oggi, infatti, l’Italia è il 4° produttore al mondo di biogas, dopo Germani, Cina e Usa. “Questo ha contribuito a un enorme risparmio delle emissioni – ha detto ancora Capri – consentendoci di accumulare un know how elevato che ci porta a produrre più energia con meno biomasse.

Nello stesso senso va lo sviluppo delle attività di Carbon Farming: “Si tratta di una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare – ha spiegato ancora il prof. Capri – che allo stesso tempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico. È un processo naturale ecosistemico che l’allevamento del bestiame intensifica grazie al ruolo primario svolto dalla produzione di sostanza organica da destinarsi al suolo secondo un principio di economia circolare delle risorse e lo sviluppo di comunità energetiche sui territori”.

Per finire, il libro si sofferma anche sul rapporto tra carne e nutrizione, sottolineando come l’Italia sia oggi agli ultimi posti in Europa per consumi di carne pro-capite. Secondo gli ultimi dati Ismea il consumo reale sarebbe di meno di 33 chilogrammi di carne all’anno per persona: infatti ai 65,3 Kg pro-capite (pollo, suino, bovino) risultanti dalle statistiche “apparenti”, andrebbe tolta la parte non edibile (ossa, tendini, grasso). La nutrizionista Elisabetta Bernardi in proposito ha sottolineato che la carne “è a tutti gli effetti parte integrante della dieta mediterranea, modello alimentare sui cui benefici la scienza è concorde”, ed inoltre – secondo una recentissima revisione della letteratura pubblicata su Nature Medicine – la carne rossa non costituirebbe un rischio per la salute, come evidenziato anche da altre pubblicazioni quali lo studio PURE condotto su 164 mila partecipanti, che ha dimostrato come il consumo di quantità moderate di carne non trasformata aumenti il rischio di patologie cardiovascolari né abbia conseguenze sulla mortalità.

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