sabato, Maggio 18, 2024
AmbienteEconomia marina

Fine della plastica: possibilità o utopia?

di Gianluca De Angelis

Stime drammatiche prevedono che, entro il 2021, gli abitanti del pianeta getteranno via una cifra progressiva di bottigliette di plastica che arriverà fino a circa tre miliardi l’anno. È ormai chiaro come il consumo indiscriminato di plastica “usa e getta” sia ormai fuori controllo, con quantità annuali che superano di gran lunga gli 8 milioni di tonnellate che vanno ad inquinare in gran parte i nostri oceani un po’ di più ogni giorno che passa: basti pensare alle impressionanti immagini delle enormi isole di spazzatura e plastica galleggianti in mezzo all’Oceano Pacifico.

Per dare un quadro chiaro ed immediato della situazione basta citare una frase del vice-presidente della commissione di Bruxelles Frans Timmermans, che in un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian dice: “Una bottiglietta di plastica ha bisogno di 5 secondi per essere prodotta, viene usata per 5 minuti e ha bisogno di 500 anni per disintegrarsi”. Sembra banale ricordare quanto questo tipo d’inquinamento comprometta sempre di più gli ecosistemi della Terra (e la nostra salute), distruggendo gli habitat naturali di un’infinità di specie, ma di questa situazione sono ben al corrente, ovviamente, anche i governi e le compagnie di tutto il mondo che, fortunatamente, non sono affatto indifferenti all’enorme problematica.

Ad esempio, tra gli ultimi sforzi compiuti dall’Unione Europea sulla materia, ve ne è in particolare uno che prevede, entro il 2030, di far divenire tutto il packaging diffuso nel continente riutilizzabile o riciclabile: una scelta arriva a seguito della decisione della Cina di proibire l’importazione di materiali riciclabili stranieri, essendo decisa a produrne di suoi. L’investimento da 350 milioni di dollari di Bruxelles è devoluto alla ricerca e alla pianificazione con una seria intenzione, infatti, di far divenire la fine dell’era della plastica una realtà più che un’utopia.

Se è ancora difficile stabilire se e quando si vedranno i risultati e se la fine della plastica diverrà mai una realtà, è innegabile come siano molte le iniziative a livello globale che stanno cercando di fornire scenari nuovi e alternative tangibili ai prodotti di questo materiale, in modo da ridurre i prodotti “a singolo uso”. Tra le molte possiamo citare l’enorme catena asiatica Wagamama che, a partire dal prossimo 22 Aprile (l’Earth Day 2018), non fornirà più cannucce di plastica ai suoi clienti, ma ne preparerà un nuovo tipo cartaceo che verrà fornito unicamente su richiesta. Una grande catena di supermercati britannica specializzata in prodotti surgelati, Iceland Foods, si è prefissata, entro la fine del 2023, di ridurre o eliminare totalmente le confezioni di plastica dei suoi prodotti. Ancora, il colosso del fast-food McDonald’s ha ufficializzato che entro il 2025 tutte le sue sedi utilizzeranno solo imballaggi riciclati o provenienti da stabilimenti sostenibili certificati. Le iniziative non mancano, e sono centinaia le aziende che si susseguono in una corsa alla sostenibilità che contribuisce alla loro buona pubblicità (chiaramente), ma che non può far altro che sensibilizzare il pubblico di massa: da Coca-Cola a Danone fino a Mars e Procter & Gamble, tutti sembrano veramente impegnati e collaborare per la fine della plastica.

Il problema principale è la diffusa poca conoscenza sull’argomento: l’inquinamento non si ferma infatti solo alla plastica in sé, ma anche al suo smaltimento e decomposizione. La plastica, infatti, non è biodegradabile ma, quando viene esposta alla luce del sole, lentamente si decompone in piccoli frammenti. Nonostante l’inquinamento più preoccupante sia ancora quello dovuto agli oggetti più grandi, che intrappolano gli organismi marini, ve ne è un altro (molto più diffuso) costituito da particelle di dimensioni inferiori ai 5 millimetri. Le cosiddette microplastiche possono essere scambiate per cibo e ingerite da pesci, molluschi e crostacei, accumulandosi nei tessuti: la

conseguenza è una concentrazione molto elevata degli inquinanti organici presenti in questi frammenti, che viene incrementata ad ogni anello della catena alimentare fino a raggiungere il nostro piatto, con conseguenze sconosciute. Vogliamo sottolineare che la questione ci riguarda particolarmente da vicino, dato che uno dei mari più colpiti da questa forma di inquinamento è proprio il Mediterraneo a causa del bacino semichiuso e dell’alta densità abitativa lungo le sue coste. In realtà ripulire gli oceani da questo tipo di inquinamento microscopico è un’impresa praticamente impossibile: l’unica possibilità è tagliare drasticamente la produzione di plastica alla sua base, sostituendo i materiali che rilasciano le particelle. Basti pensare che un semplice lavaggio in lavatrice genera quasi duemila microframmenti di plastica per ogni capo d’abbigliamento sintetico, circa il 180% in più delle fibre rilasciate da quelli in lana.

L’amara verità è che fermare la produzione di plastica richiederà necessariamente nuove tecnologie da parte dei produttori, ma soprattutto nuovi atteggiamenti da parte dei consumatori. Ne ha parlato anche Sir David Attenborough, tanto da dire che “Gli oceani del mondo stanno attualmente affrontando la più grande minaccia nella loro storia”. In un’intervista il documentarista ha infatti detto: “Per anni abbiamo pensato che gli oceani fossero così vasti e che i loro abitanti fossero così infinitamente numerosi che non potessimo fare nulla che avesse un effetto su di loro. Ma ora sappiamo che era sbagliato. Ora è chiaro che le nostre azioni stanno avendo un impatto significativo sugli oceani del mondo. Ora sono minacciati come mai prima nella storia umana. Il futuro dell’umanità, e in effetti di tutta la vita sulla Terra, ora dipende da noi”.

Nel 2050 ci sarà più plastica che pesce: questo è lo scenario che si prevede secondo un rapporto pubblicato nel 2016 dalla fondazione Ellen MacArthur, se non verrà cambiato nulla. La verità è che basta guardarci attorno per vedere che quasi tutti gli strumenti che utilizziamo, o gran parte di essi, è composto da plastica e derivati: dai vestiti alle bottiglie, fino agli imballaggi e ai cosmetici. Quello che bisogna stravolgere, affinché effettivamente cambi qualcosa, è prima di tutto la nostra mentalità, distaccandoci dall’idea che abbiamo di alcuni prodotti per aprirci veramente alle possibilità offerte dal riciclabile.

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