martedì, Maggio 21, 2024
AgricolturaAmbiente

Urge un patto mondiale per salvare il pescato del Mediterraneo

Uno studio del Cnr avverte: al rischio più della metà delle specie ittiche nel Mediterraneo se non si interviene con azioni di salvaguardia

“Come è andata la giornata?”, chiediamo ad uno dei tanti pescatori che affollano la banchina del porto di Anzio dove ogni pomeriggio si apre un piccolo mercato di vendita diretta di parte del pescato che rientra sulla costa.  “Una tragedia”, ci risponde Giorgio, mentre sistema le sue cassette di polistirolo piene di alici, con merluzzi che ancora respirano,  gamberetti che si muovono e polpi che si contorcono.  “Non è più come una volta” continua quest’uomo in maglietta già arso dal sole mentre noi di città ci stringiamo nelle giacche  incapaci di apprezzare in pieno l’incerto sole primaverile.  “Adesso qui le barche risalgono sin dalla Sicilia” ci dice il pescatore  che aggiunge: “Rispetto a prima, il pesce è poco, pochissimo, anche se noi – rispetto ad altri –  ancora ce la caviamo”.

Quanto ci ha raccontato Giorgio non fa che confermare gli allarmi sempre più diffusi, anche in ambito europeo, per la necessità di stringere gli interventi per la regolamentazione del settore della Pesca che privo di interventi a garantire una sua effettiva sostenibilità rischia di trasformare il Mediterraneo in un acquario  vuoto.

Uno recente pubblicato dal CNR in collaborazione con altri Istituti europei ha analizzato la condizione e lo stato di sfruttamento di circa 400 stock ittici. Secondo i dati elaborati dai ricercatori il 64% delle specie prese in considerazione al momento è a rischio ed  in mancanza di interventi mirati, il sistema potrebbe volgere presto al collasso. L’adozione invece di misure di salvaguardia, come ad esempio un fermo pesca programmato, potrebbe consentire all’ecosistema di rifiorire.

Secondo gli scienziati riducendo nel Mediterraneo ad esempio solo del 20% le ore destinate alla pesca, entro il 2030 potremmo avere dal mare il 57% in più delle risorse provenienti dal mare rispetto ad oggi, ampliando automaticamente il benessere per tutti gli operatori di filiera e proteggendo contemporaneamente meglio l’ecosistema marino.

Un obiettivo che pur nella sua indubbia efficacia rischia di arenarsi per la molteplicità dei soggetti che sarebbero tenuti alla sua osservanza. Da una parte i Paesi dell’Unione che pur tra mille difficoltà possono immaginare un piano di coordinamento efficace in tal senso, dall’altra le flotte di tutti gli Stati extra comunitari – riveraschi e non –  che potrebbero vanificare ogni sforzo in tal senso, sfruttando il vantaggio competitivo da un fermo unilaterale dei loro competitors europei.

Cristiana Persia  

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