lunedì, Maggio 6, 2024
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Sul web la carne sintetica è più viva di quella naturale

Tre milioni di dollari raccolti in un soffio su Indiegogo per il suo sviluppo

 

di Cristiana Persia

Sono ormai parecchi anni che il settore agroalimentare si confronta con una delle sfide più grandi lanciate in questo campo dalle nuove biotecnologie: quella di riuscire a ricreare in laboratorio uno dei pilastri della dieta alimentare occidentale, la carne.

Per distinguerla da quella che tradizionalmente arriva nei nostri piatti, in Italia le abbiamo affibbiato il nome di carne sintetica, mentre i più accorti americani la definiscono carne cresciuta in laboratorio (lab-grown meat). Molti ovviamente i fallimenti, ma adesso, per questo ambito di ricerca, il futuro sembra prospettarsi decisamente più roseo e il raggiungimento di una produzione e commercializzazione su larga scala di questa innovativa carne biotech non più così lontano.

Ma i consumatori come reagiscono a questa ipotesi di split nella loro dieta?

Sicuramente non in maniera orripilata, anzi. Almeno a giudicare dal successo che ha ottenuto in Rete la SuperMeat, start-up biotecnologica israeliana che ha lanciato il suo secondo crowdfunding su Indiegogo (piattaforma dedicata alla raccolta di fondi sul web) promettendo di riuscire ad ottenere nei suoi laboratori carne di pollo biotech senza uccidere alcun animale. Tre milioni di dollari raccolti in brevissimo tempo su internet grazie a migliaia di sostenitori e, immediatamente successivo a questo goal, una partnership con una delle aziende tedesche più importanti nel settore dell’allevamento avicolo.

Sono due le sfide che la start-up israeliana si appresta ad affrontare. La prima quella di eliminare, nelle varie fasi del processo, l’uso del siero animale prenatale (ottenuto dal liquido che avvolge il feto durante la gravidanza) sostituendolo invece con aminoacidi di origine vegetale. Questo per ottenere lo stesso “brodo primordiale” nella coltura in vitro necessario a far proliferare le cellule del tessuto, senza dover ricorrere ad alcuna macellazione animale. La seconda, quella di superare gli empasse per la riproduzione in laboratorio di un organo intero – per esempio il petto – ed ampliare così l’offerta di mercato con prodotti che dovrebbero essere identici a quelli che solitamente consumiamo invece della produzione – già possibile – di solo lavorati (Hamburger o Nuggets, ad esempio).

“Per raggiungere questo obiettivo – sottolinea il co-founder e presidente della compagnia, Ido Savir – il team ha incluso nella squadra bioingegneri, tecnici del settore farmaceutico specializzati nella crescita in laboratorio di cellule e delle colture su cui si sviluppano ed anche chef”.

Che il raggiungimento da parte di SuperMeat di obbiettivi concreti e validi non sia così illusorio, lo dimostrerebbe – come accennato prima – appunto l’accordo di partnership appena concluso con la tedesca PHW, una delle più grandi aziende europee di produzione di pollame e prodotti lavorati, società dal fatturato di circa 2 miliardi di euro annui.

“Più di una volta noi di PHW abbiamo abbandonato cammini segnati per sperimentare nuove vie più favorevoli al nostro business. Questo accordo  – ha commentato il presidente della società tedesca – non solo facilita lo sviluppo di best practices anche nel nostro core business per il  benessere animale, ma porterà insieme il rafforzamento del nostro portafoglio di prodotti vegani, confermando il nostro ruolo di leader nella tendenza espressa dai consumatori globali di una dieta  più sostenibile e più ricca in proteine”.

Va sottolineato, quindi, che la corsa alla carne biotech è un affare  su cui non si stanno concentrando solo gli internauti, ma anche molti capitali internazionali.

Grazie a queste iniezioni di danaro, già nel 2013 era stato possibile gustare a Londra il primo Hamburger prodotto in laboratorio. Il costo?Proibitivo. Circa 325 dollari per un panino da 150 grammi, e colore e gusto molto più attenuati rispetto a quello tradizionale.

Appena due anni dopo, nel 2015, il prezzo – grazie ai consistenti finanziamenti che investitori del calibro di Bill Gates e Richard Branson avevano elargito ad aziende americane come la Memphis Meat – era sceso a 11 dollari ed il sapore migliorato.

Ed adesso? Tutti gli esperti concordano su un punto: se la produzione diventerà di scala, il prezzo finale della carne biotech sarà più concorrenziale di quella che proviene dagli allevamenti tradizionali.

Non solo. Ma immaginando le proiezioni di crescita della popolazione globale – circa 10 miliardi di persone nel 2050 – questo tipo di carne potrebbe permettere di sfamare tutti con una dieta proteica, senza distruggere il pianeta.

Al momento infatti le attività di allevamento coprono circa il 30% della superficie agricola del globo e sono responsabili di circa il 14% delle emissioni di Co2 nell’atmosfera, oltre ai problemi di sostenibilità ambientale connessi al massiccio uso di pesticidi e fertilizzanti per la produzione dei mangimi ed alla dispersione di grandi quantità di nitrati nelle falde acquifere per lo smaltimento delle deiezioni animali.

La carne biotech promette invece quasi l’azzeramento di tutti questi valori e anche di risolvere uno dei problemi che sta colpendo il settore dell’allevamento intensivo: quello dell’enorme impiego di antibiotici utilizzati per prevenire la diffusione di molteplici patologie come la salmonella o l’escherichia coli, solo per citarne alcune.

E se scherzosamente si potrebbe dire che è stato finalmente risolto anche uno dei problemi con cui si sono confrontati tutti gli scrittori di fantascienza per essere credibili (“Cosa facciamo mangiare agli astronauti nei viaggi interstellari?”) molto più seriamente, nella realtà, la situazione è stata invece affrontata  dalla Cina che, con il suo miliardo e 300 milioni di abitanti, importa dall’estero carni per un valore di oltre 11 miliardi di euro l’anno. Lo scorso luglio, infatti, il Paese asiatico ha finanziato con un accordo commerciale di 250 milioni di euro le tre le start up israeliane che lavorano a questi progetti. A beneficiarne non solo SuperMeat, ma anche Future Meat tecnologies e Meat the Future. Adesso la loro ricerca si sta adesso concentrando su come creare – attraverso l’ingegneria tissutale e i bioreattori cellulari – non più polpette, ma vere e proprie bistecche.

Per gustarle, però, sembra che bisognerà attendere ancora almeno tre anni: salvo accelerazioni improvvise, mai da escludere quando si parla di futuro biotech.

 

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