martedì, Maggio 14, 2024
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Rapporto Greenpeace. I PFC ovunque, anche sulle cime inviolate

Spedizione GREENPEACE sul lago di Pilato

Anche nei luoghi apparentemente più incontaminati arriva, inesorabile,  l’impronta dell’uomo.  L’ultima ricerca di Greenpeace, volta ad individuare nelle località più amene del Pianeta la persistenza  di alcuni  componenti chimici  – poli e per fluorati, noti con la sigla PFC –  utilizzati spesso  dalle aziende per impermeabilizzare i capi di abbigliamento outdoor  conferma purtroppo ancora una volta questa triste realtà.

Tutti i campioni raccolti in ogni luogo dal team degli attivisti sono risultati positivi.

“Impronta sulla neve”, (il nome della ricerca), ha condotto otto gruppi di Greenpeace in alcuni dei posti più alti e suggestivi di tre continenti: dalla Patagonia, alla Russia, passando per i monti scandinavi e arrivando in Cina. In Italia le concentrazioni maggiori sono state individuate  nel lago di Pilato, sui Monti sibillini, al confine fra Umbria e Marche,  ma anche negli Alti Tatra, in Slovacchia, e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero.

“Abbiamo trovato tracce di PFC nei campioni di neve raccolti in tutte le località oggetto d’indagine”, afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia. “Dei diciassette composti riscontrati in tutti i campioni di neve analizzati, ben quattro hanno mostrato le concentrazioni maggiori nei campioni di neve raccolti  presso il lago di Pilato, tra cui il PFOS (Perfluorottano sulfonato) già soggetto a restrizioni nell’ambito della Convenzione di Stoccolma”.

Il ciclo del PFCI PFC sono impiegati in molti processi industriali per la produzione di beni di consumo: il settore dell’abbigliamento outdoor li usa nelle finiture impermeabilizzanti e antimacchia. Una volta rilasciati nell’ambiente si degradano molto lentamente, restando nella forma originaria per diversi anni e disperdendosi così su tutto il globo. Alcuni PFC possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale, favorire la crescita di cellule tumorali e sono sospetti agenti mutageni.

Sotto accusa in particolare le aziende che fanno business evocando nel cliente quei panorami incontaminati e l’amore per la natura selvaggia che invece contribuiscono ad inquinare pesantemente.

Marchi che producono abbigliamento outdoor, come Puma e Adidas, hanno già adottato obiettivi ambiziosi per l’eliminazione dei PFC. Alcune aziende più piccole ma specializzate nella produzione per l’outdoor, come Fjällräven, Paramo, Pyua, Rotauf e R’ADYS, producono già intere collezioni di abbigliamento idrorepellente PFC-free.

Ma, continua Greenpeace,  sono proprio i marchi leader del settore, come The North Face, Columbia, Patagonia, Salewa e Mammut, a mostrare scarso senso di responsabilità quando si tratta di eliminare i PFC.

 

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