giovedì, Maggio 2, 2024
AgricolturaAmbiente

Incendi Napa Valley. Quale futuro per il vino statunitense?

Dopo i tragici roghi che hanno distrutto la regione vinicola californiana molti gli interrogativi relativi alla produzione locale e ai possibili mutamenti nei consumi. Le aspettative per le importazioni dal vecchio continente

di Gianluca De Angelis

La serie di terrificanti incendi che ha devastato la California, dopo due mesi di fiamme, sembra finalmente essersi esaurita, lasciando alle sue spalle una scia di devastazione del territorio meridionale californiano che si crede essere la peggiore mai documentata. In totale si sono registrati, infatti, 8771 focolai diversi, che hanno distrutto un totale di più di 5000 km2: le cause di questo dramma sono molteplici, e vanno da un surriscaldamento generale della regione ad una lunga siccità che ha colpito l’area durante tutto il 2017. In aggiunta, i fuochi sono stati alimentati dai forti venti che caratterizzano la zona, e che hanno reso le operazioni di contenimento dei pompieri estremamente difficoltose.

Se nell’ultimo periodo l’attenzione si è focalizzata su Thomas, tempesta di fuoco che ha distrutto le regioni di Ventura e Santa Barbara e che ha assunto, nel suo picco, dimensioni grandi quanto l’intera città di New York, i terreni lasciati alle spalle dalla prima ondata di focolai stanno ormai guardando al futuro e alla ricostruzione: stiamo parlando dei territori dove ha luogo la più grande produzione vinicola degli interi Stati Uniti, la Napa Valley.

La contea di Napa ha cominciato a sviluppare la sua attività a partire dagli anni ’60, con una produzione totale che in poco tempo si è ampliata fino a raggiungere i livelli delle migliori regioni nostrane. Grazie a questi vigneti californiani, infatti, la produzione di vino degli Stati Uniti ha raggiunto quasi il 10% del totale mondiale, con una crescita vorticosa delle coltivazioni che hanno consentito agli USA di diventare il quarto produttore di vino a livello globale dopo Italia, Francia e Spagna con una quantità di 24 milioni di ettolitri (quasi il 10% del totale mondiale).

In concomitanza con la produzione, nel corso degli anni la crescita si è sviluppata anche nella domanda: gli Stati Uniti sono diventati, infatti, il primo consumatore mondiale di vino con 31,8 milioni di ettolitri (16% globale); al secondo posto c’è la Francia con il 15%, al terzo l’Italia con il 13.6% e poi la Germania con il suo 11,95%. La fetta di importazioni estere di vini, tuttavia, è rimasta sempre una piccola parte del consumo: il 70% del vino consumato in America arriva proprio dai vigneti della California, con una bassa presenza dei vini stranieri a causa di una forte tassazione sulle importazioni, che rendono l’export degli altri Paesi poco fattibile per i piccoli e medi produttori. Oltretutto anche i gusti dei consumatori americani si distanziano parecchio dagli standard qualitativi delle produzioni vinicole europee: secondo le indagini, infatti, gli americani sono soliti orientarsi su bottiglie che costano meno di 9$ al pezzo.

C’è da dire che recentemente una certa inversione di trend c’è stata, anche se minima: se infatti nella East Coast, New York in testa, era sempre stata presente una certa curiosità verso il vino importato dall’Italia e dagli altri Paesi del vecchio continente, da poco tempo si è notato come anche la più restia West Coast, sempre fedele al prodotto locale, stesse richiedendo sempre maggiori quantità di vino importato (e stiamo parlando principalmente di Prosecco e vino biologico certificato).

Visti gli avvenimenti recenti, tuttavia, con il consequenziale mutamento dei terreni sconvolti dagli incendi, la situazione come è destinata a mutare, e quanto la produzione di vino californiano ne verrà effettivamente colpita? Andiamo ad analizzare più attentamente la situazione.

I danni riportati ai territori della contea di Napa sono stati enormi, con 650 aziende colpite, 40 mila ettari di vigneti rovinati e 1.000 abitazioni bruciate, per un costo totale di oltre 55 miliardi di dollari. Tuttavia, se andiamo a guardare con attenzione i danni riportati esclusivamente ai vigneti e li mettiamo in rapporto con la produzione totale della zona, la situazione potrebbe essere meno catastrofica di quanto si immagini: gli incendi, infatti, hanno bruciato prevalentemente sulle colline di Napa, lasciando intatte moltissime produzioni vinicole, situate nelle zone pianeggianti. Sono state proprio le vigne, in realtà, a domare parzialmente le fiamme nella zona: contrariamente alle foreste circostanti, dove gli alberi e la fitta vegetazione erano un terreno fertile per il propagarsi del fuoco, i terreni pianeggianti delle vigne e le foglie verdi delle piante (difficili da bruciare) sono servite a rallentare la forza dirompente delle fiamme in una maniera che ricorda quasi una linea-tagliafuoco naturale.

I produttori di vino, oltretutto, si sono mossi subito in due modi opposti ma altrettanto efficaci per prevenire i danni alle loro produzioni vinicole. Molte aziende, una volta saputo dell’avvicinarsi degli incendi, avevano deciso di anticipare leggermente la vendemmia ed erano già arrivate ad un completamento del 75/90 per cento del raccolto quando gli incendi sono giunti ai confini (tra queste piantagioni ne erano incluse molte di vini rossi, come il Cabernet Sauvignon). Altre aziende, invece, hanno deciso di non raccogliere l’uva ma si sono attrezzate per ottimizzare i risultati della vendemmia futura: molti campioni, a produzione iniziata, verranno infatti inviati ai laboratori per accertarne la pulizia da contaminazioni varie derivanti dai fumi. In seguito, in caso venisse riscontrata una contaminazione, gli acini colpiti verranno fermentati tutti insieme, per poi tentare un sistema di filtraggio del prodotto finito che priverà il mosto del sapore affumicato. Anche se non mancano ovviamente, i casi più estremi – come la produzione di vino organico Folio di Robert Mondavi Jr. che, a causa dei danni ingenti alle sue coltivazioni, non riuscirà a produrre l’annata 2017 del suo Animo – molte produzioni vinicole della zona, fortunatamente, dovranno sostituire interamente solo gli alberi posti ai confini delle proprietà.

Se quindi possiamo affermare che non prevediamo un mutamento importante della tendenza di import-export nella realtà del vino americana, né tantomeno un aumento della richiesta di vino nostrano per colmare le potenziali perdite di vino autoctono, il riassestamento comunque ci sarà e sarà inevitabile. Danni ingenti all’economia della zona, infatti, deriveranno principalmente dal drastico calo di turismo successivo al dramma degli incendi: le 650 vigne della zona hanno già visto calare quasi del tutto le visite nell’ultimo mese, nonostante molte aziende abbiano riaperto quasi subito dopo il momento di assestamento. Se le visite in questa zona hanno rasentato lo zero nell’ultimo mese, i ricavi delle aziende sono rimasti praticamente dimezzati: il 56% dei ricavi delle produzioni della Napa Valley, infatti, pare non arrivare dalla produzione diretta di vino, bensì proprio dal turismo sul posto.

Infine, un altro problema importantissimo che colpirà indirettamente la produzione di vino della Napa Valley è la distruzione, molto più grave di migliaia di abitazioni della zona: stiamo parlando di una cifra di almeno 15.000 persone senza casa, molte delle quali erano chiaramente impiegati nella produzione vinicola. Se per ora molte hanno trovato rifugio proprio nelle aziende dove lavoravano, la prossima fase deve essere inevitabilmente quella della ricostruzione di queste abitazioni: ridando una continuità alla vita di queste persone, si ridarà linfa vitale anche alla produzione vinicola della zona.

 

 

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