Consumo d’acqua e allevamenti intensivi: qual è la realtà?
Le recenti affermazioni dell’azienda Biolab hanno provocato le immediate precisazioni dell’Associazione Carni Sostenibili
Le affermazioni contenute nel comunicato recentemente diramato dall’azienda Biolab, di cui ha dato notizia anche mediaquattro.it, secondo cui per produrre una bistecca di 3 etti si consuma un’abnorme quantità d’acqua (15 mila litri!), hanno subito provocato la reazione della “controparte”. La Redazione dell’Associazione Carni Sostenibili, infatti, ha diramato una lettera di precisazione sostenendo che i dati riportati genericamente e acriticamente negli articoli in questione «sono stati ampiamente precisati e corretti da studi recenti e dagli standard ISO 14 046 , che normano la Water Footprint e che richiedono che sia presa in considerazione la sola acqua prelevata da corpi idrici superficiali o sotterranei».
Grazie a questi aggiornamenti, afferma Carni Sostenibili, «mangiare una bistecca di 3 etti significa consumare tra i 240 e 300 litri di acqua, e non 4.500. Infatti, affermare che servono circa 15.000 litri di acqua per produrre un solo chilo di carne di manzo è oggi scorretto. Questo valore, calcolato molti anni fa dal Water Footprint Network – si legge ancora nella lettera di precisazione – deriva dalla somma della cosiddetta “acqua verde, “acqua blu” e “acqua grigia”. Acqua verde è quella piovana, che consente la crescita della vegetazione che nutre le mandrie, e di cui l’uomo per oltre il 90% non può servirsi. L’ acqua blu, invece, è l’acqua prelevata dalla falda o dai corpi idrici superficiali, come fiumi e ruscelli. Infine, l’acqua grigia rappresenta il volume d’acqua necessario a diluire e depurare gli scarichi idrici di produzione».
«La stragrande maggioranza dell’acqua imputata alle produzioni animali è quella che piove sui vegetali, la cosiddetta acqua verde, che rappresenta il 94% dell’acqua imputata alle filiere bovine. Tutta quest’acqua non è realmente consumata perché evapotraspira nell’atmosfera e ritorna nel ciclo naturale con le precipitazioni. La percentuale di acqua blu “sottratta” alle riserve destinate all’uomo è quindi minima e rappresenta appena il 3% del totale, così come l’acqua grigia che, nel peggiore dei casi rappresenta solo il 3%. Pertanto, il modo corretto per calcolare l’impronta idrica è quello di considerare l’acqua verde al netto della evapotraspirazione di una vegetazione naturale, ottenendo così l’ acqua verde “netta” e, conseguentemente, la waterfootprint netta».
«In Italia – prosegue la lettera di Carni Sostenibili – le più recenti pubblicazioni scientifiche fanno riferimento agli impatti calcolati con il modello Net Waterfootprint (WFPnet) (Atzori et al., 2016) che rappresenta il reale impatto prodotto dall’attività agricola e dall’allevamento. Risultato? Per produrre 1 kg di carne bovina, nel caso più virtuoso, si può arrivare a registrare un consumo reale pari a 790 litri di acqua. Può essere utile un paragone con alcune produzioni di superfood vegetali molto diffusi al momento. L’acqua realmente consumata (con metodo WFPnet, al netto dell’acqua “green”) per la produzione di avocado è di 1 132 lt/kg ; per gli anacardi 1 365 lt/kg ; per le nocciole 2 889 lt/Kg , e per le mandorle sgusciate 6 831 lt/kg».
«Infine – è la conclusione della lettera – per quanto riguarda le emissioni di gas, va precisato che il dato del 14,5% mondiale riguarda tutta la zootecnia (bovini, ovini, suini e avicunicoli) e non solo gli “allevamenti intensivi”. Questo dato, calcolato per tutto il pianeta, si riduce notevolmente considerando l’Europa e, in particolare l’Italia. Nel nostro paese, secondo i dati ufficiali di ISPRA tutta l’agricoltura pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti di cui il 5,9% imputabili agli allevamenti di tutte le specie (suini, avicoli). E di queste il 3,5% sono imputabili alle filiere della carne, escluso latte e uova».