Clima UE: obiettivi 2040 rinviati ai leader
Il Consiglio Ambiente non trova l’intesa sulla riforma della legge sul clima; la presidenza danese rimanda la decisione ai capi di Stato e di governo.
Il Consiglio Ambiente dell’Unione Europea del 18 settembre 2025 si è concluso senza un accordo sulla proposta della Commissione europea di fissare al 2040 un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni nette del 90% rispetto ai livelli del 1990. La riunione, attesa come un passaggio cruciale verso la definizione del nuovo contributo determinato a livello nazionale (NDC) dell’UE in vista della COP30 di novembre in Brasile, si è chiusa con un rinvio della decisione ai capi di Stato e di governo.
La proposta della Commissione, presentata a luglio, mirava a introdurre un traguardo intermedio tra la riduzione minima del 55% al 2030 – già sancita dalla legge europea sul clima del 2021 – e la neutralità climatica al 2050. Il target al 2040 avrebbe dovuto rappresentare una tappa chiave, ma le profonde divisioni tra Stati membri hanno impedito un’intesa. Germania e Ungheria hanno guidato il fronte del rinvio, seguite da Francia, Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Belgio, Bulgaria e Italia.
I nodi riguardano l’equilibrio tra ambizione climatica, competitività industriale e giustizia sociale, ma anche questioni specifiche come il ruolo dei crediti internazionali di carbonio, la piena contabilizzazione degli assorbimenti naturali e tecnologici (settore LULUCF), e la gestione di settori critici quali trasporti e uso del suolo.
Il ministro danese per il Clima, Lars Aagaard, presidente di turno del Consiglio, ha riconosciuto i progressi compiuti, sottolineando però la necessità di un chiaro mandato politico dai leader europei: “Stiamo vivendo un momento difficile: c’è una guerra nel nostro continente. Mentre si lavora per obiettivi climatici ambiziosi bisogna anche preoccuparsi della base industriale”. La presidenza danese, che aveva fatto dei target al 2040 una priorità del suo semestre, aveva proposto compromessi basati su flessibilità per circostanze nazionali e sul rafforzamento della clausola di riesame della normativa, senza tuttavia riuscire a far convergere le posizioni.
La mancata intesa sul 2040 ha bloccato anche i negoziati sul target intermedio del 2035, che le Nazioni Unite sollecitavano per rafforzare la sfida globale al cambiamento climatico. Il quadro internazionale pesa: il ritiro degli impegni climatici da parte degli Stati Uniti sotto la presidenza Trump ha indebolito la leadership europea, mentre altri grandi emettitori come la Cina sembrano intenzionati a rispettare la scadenza ONU.
L’Italia, rappresentata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, ha sostenuto il rinvio, parlando di “una decisione di grande responsabilità” che riconosce “la complessità e l’impatto strategico del dossier”.

[Bruxelles, 18 settembre 2025. Foto: European Council]
“Su temi così importanti, che comprendono l’intera economia di ciascun Paese, è fondamentale che si esprimano i Capi di Stato e di Governo”, ha dichiarato il ministro, ringraziando la presidenza danese per il lavoro svolto e per la scelta di rimandare la decisione finale al Consiglio europeo.
Nel suo intervento, Pichetto ha ribadito la necessità di realismo e concretezza in un contesto internazionale segnato da crisi geopolitiche, richiamando la necessità di “azioni comuni che non mettano in discussione gli impegni assunti, ma che guardino al futuro con una programmazione economica seria”.
L’Italia difende il principio della neutralità tecnologica: “Non accetteremo esclusioni non basate sulla scienza”, ha precisato Pichetto, sottolineando che tutte le tecnologie capaci di ridurre le emissioni devono restare sul tavolo: rinnovabili, nucleare, stoccaggio, CCS, CCU, geotermia, idroelettrico, biocarburanti sostenibili e nuove soluzioni innovative.
Il Ministro ha inoltre posto l’accento sulle condizioni abilitanti: “Non possiamo chiedere alle imprese di competere a livello globale con regole più rigide senza adeguati strumenti finanziari, né ai cittadini di sostenere il costo della transizione senza garanzie sull’accessibilità energetica”. Pichetto ha avvertito che escludere intere filiere produttive significherebbe “condannare l’Europa a rincorrere gli altri attori globali, perdendo competitività e leadership”.
Roma, insieme a Praga, si è schierata contro l’obiettivo del -90% al 2040 proposto dalla Commissione, chiedendo di rivedere anche misure già in vigore come lo stop alla produzione di nuovi veicoli a combustione interna dal 2035. L’Italia considera inoltre i crediti internazionali di carbonio un’opportunità per attrarre investimenti e cooperare globalmente, e contesta i limiti alla piena contabilizzazione degli assorbimenti naturali e tecnologici nel settore LULUCF.
In attesa di una decisione politica dei leader, il Consiglio Ambiente ha approvato una dichiarazione di intenti in vista della COP30. Il documento – che non rappresenta ancora l’NDC ufficiale dell’UE – indica per il 2035 un obiettivo indicativo di riduzione compreso tra il 66,25% e il 72,5% e conferma l’impegno dell’Unione all’Accordo di Parigi. L’UE intende presentare un NDC definitivo e aggiornato prima della conferenza ONU di novembre.
Il dossier passa ora nelle mani dei capi di Stato e di governo. L’1 ottobre a Copenhagen si terrà una riunione informale, seguita dal Consiglio europeo del 23-24 ottobre a Bruxelles, dove all’ordine del giorno figurano competitività, doppia transizione verde e digitale, sicurezza, difesa e politica estera. Sarà probabilmente in quella sede che dovrà emergere un compromesso sugli obiettivi climatici per il 2035 e il 2040.
Il rischio, però, è che l’Europa arrivi alla COP30 senza obiettivi vincolanti e con un calendario negoziale ridotto, mentre altre potenze globali si preparano a presentarsi con piani aggiornati e concreti.