domenica, Maggio 12, 2024
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WWF: controlli più accurati contro la pesca illegale

Da un’analisi pubblicata dalla Environmental Justice Foundation, Oceana, The Pew Charitable Trusts e WWF, emerge che la debolezza dei controlli sulle importazioni in alcuni dei maggiori Stati membri dell’Unione Europea, fanno sì che le catture illegali riescano ancora a infilarsi tra le maglie del sistema e ad entrare nella filiera UE

L’analisi contiene un’esauriente valutazione dei progressi fatti dai Paesi nell’applicazione dei controlli sulle importazioni previsti dal Regolamento UE per combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) entrato in vigore nel 2010. Si tratta della prima analisi pubblicata dei dati presentati dagli Stati membri alla Commissione Europea e relativa all’ultimo periodo di rendicontazione, il biennio 2014-2015. L’analisi dimostra l’esistenza di problemi seri nella maniera in cui alcuni Stati membri UE effettuano i controlli sui carichi di pesce. Per esempio, le autorità di alcuni dei maggiori paesi importatori continuano a non fare controlli rigorosi anche quando i carichi arrivano da paesi che hanno già ricevuto un avviso dall’UE proprio a causa delle inadeguate misure da questi adottate per prevenire e scoraggiare la pesca illegale. In alcuni casi, le procedure adottate dai Paesi UE sembrano insufficienti per rispettare gli obblighi di controllo minimi previsti dalla legislazione europea.

L’UE è il maggiore importatore di prodotti ittici e compra il 60% del pesce che consuma. Nel 2015, gli Stati membri dell’UE nel loro insieme hanno importato più di 3,5 milioni di tonnellate di prodotti ittici da tutto il mondo. La pesca illegale è una minaccia complessa e dilagante per gli stock ittici mondiali e per le comunità che dipendono da questi. Ogni anno, in tutto il mondo vengono pescate illegalmente tra 11 e 26 tonnellate di pesce con perdite annuali totali tra i 10 e i 23,5 miliardi di dollari. Le stime indicano che le catture INN globali corrispondano a un valore che oscilla tra il 13 e 31% della produzione ittica dichiarata. In alcune regioni, questa percentuale arriva addirittura al 40%.

Ogni anno, in tutta l’UE si ricevono più di 250.000 certificati di cattura (CC), la maggior parte dei quali in formato cartaceo. Lo studio, infatti, auspica procedure più armonizzate e rigorose così come l’informatizzazione – entro la fine del 2017 – dei dati contenuti nei certificati di cattura all’interno della UE, per garantire che operatori senza scrupoli non tentino di far passare le loro catture attraverso i porti nei quali i controlli sono meno stringenti. Le importazioni che entrano nella UE via container sono particolarmente a rischio per le autorità perché le procedure a queste relative non prevedono degli standard sufficientemente rigorosi.

Isabella Pratesi, direttore conservazione del WWF Italia dichiara: “L’Italia e’ uno dei principali importatori di pesce all’interno dell’UE e per questo gioca un ruolo chiave nel rendere efficace il sistema dei controlli. Alla luce di questa analisi è evidente il fatto che le procedure di controllo sono inadeguate per identificare e bloccare prodotti ittici illegali alle frontiere. Chiediamo al governo italiano di migliorare il processo seguendo soprattutto uno schema approfondito dei paesi più a rischio, verificando a fondo le spedizioni da questi e rifiutando qualunque consegna che desti sospetti”.

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