giovedì, Maggio 9, 2024
AmbienteEconomia marina

Tutelare il Mediterraneo, scrigno di biodiversità

È l’appello lanciato da MedReAct per salvare dai danni provocati dalla pesca indiscriminata e da altri fattori negativi le “Fisheries Recovery Areas” (FRA), importanti rifugi climatici per la fauna marina

“In occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità, che si celebra il 22 maggio, è importante ricordare che il Mediterraneo non solo è il mare più sovrasfruttato al mondo ma è anche considerato una delle regioni dove gli effetti dei cambiamenti climatici sono più intensi”. Lo ha ribadito Domitilla Senni, responsabile di MedReAct (l’organizzazione fondata nel 2014 da un gruppo di attivisti marittimi che opera per garantire l’efficace attuazione della Politica Comune della Pesca nel Mar Mediterraneo), sottolineando come il “mare nostrum” è un piccolo bacino (0,82% della superficie oceanica mondiale e 0,3% del volume oceanico mondiale) che ospita però circa il 7,5% di tutte le specie marine esistenti, con un’alta percentuale di specie endemiche.

“Un vero e proprio scrigno di biodiversità, che però è sempre più in sofferenza”, sostiene MedReAct lanciando un forte grido di allarme basandosi anche su un recente studio effettuato da Frontiers in Marine Science.

Gli ecosistemi profondi, quelli che si trovano al di sotto dei 200 metri, sono infatti caratterizzati da complesse strutture topografiche (come canyons e montagne sottomarine) e rappresentano habitat vitali per gli organismi che vivono più a ridosso dei fondali. Inoltre, la presenza di specie che creano tridimensionalità (come barriere di coralli profondi, campi di pennatule, giardini di spugne ecc) fornisce rifugio e risorse per molte specie, e influenza il funzionamento oceanico attraverso il sequestro di CO2. Sono, insomma, ambienti che costituiscono importanti rifugi climatici (la loro temperatura è più fredda rispetto a quella media che si sta sempre più riscaldando) che però sono anche sempre più a rischio “perché gli impatti sugli ambienti profondi sono in continuo aumento; tra i principali c’è senz’altro la pesca indiscriminata, come lo strascico. A questa si aggiungono le attività estrattive di gas e petrolio e, naturalmente, i cambiamenti climatici”.

la mappa dei FRA nel Mediterraneo

Lo studio individua una serie di caratteristiche per i rifugi climatici riscontrabili nel Golfo del Leone e nel Delta dell’Ebro. Queste comprendono strutture geomorfologiche complesse e condizioni oceanografiche particolari (come la risalita di acque profonde note come fenomeni di upwelling) che consentirebbero la sopravvivenza di specie fragili e vulnerabili.

Condizioni simili, secondo MedReAct, potrebbero trovarsi anche nel Canale di Otranto.Qui, infatti, si scambiano le acque che si originano nel sud Adriatico con quelle del mare Ionio, creando condizioni particolari che supportano la vita di specie di acque profonde e creano inoltre ambienti adatti a specie particolarmente fragili e vulnerabili come i coralli di profondità.

In queste aree MedReact ha proposto alla Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo la creazione di zone di restrizione alla pesca (Fisheries Recovery Areas, FRA) chiuse alla pesca di fondo.

“Bisogna intervenire subito – è l’appello rilanciato da Domitilla Senni – superando le resistenze che la tutela di queste aree incontrano a livello delle amministrazioni nazionali.  La loro protezione sarebbe un passo importante per la salvaguardia degli ecosistemi profondi del Mediterraneo e per la funzione che potrebbero svolgere come rifugi climatici”.

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