Per la CIA serve una PAC più coraggiosa
Da uno studio presentato oggi a Bruxelles arriva un’attenta analisi degli effetti, positivi ma più spesso negativi, che la politica europea ha prodotto sull’agricoltura italiana
Tutte le imperfezioni dell’attuale Pac, la Politica agricola comune europea, possono riassumersi in un dato eloquente: in Italia, sul totale delle risorse previste (52 miliardi di euro), il 20% dei beneficiari ne riceve l’85,7%, mentre i fondi rimanenti (ovvero solo il 14,3%) sono appannaggio dell’80% degli agricoltori aventi diritto. Questo squilibrio muove da una serie di scelte strategiche sbagliate, contenute nel complesso di norme e misure che regolano la Pac che accompagnerà i produttori fino al 2020.
Questo quanto emerso da uno studio della Cia-Agricoltori italiani presentato oggi a Bruxelles, in cui si fa un’attenta analisi degli effetti che la politica europea di settore ha
prodotto per l’agricoltura italiana, prefigurando anche i possibili scenari futuri. La presentazione della ricerca è stata l’occasione per promuovere una giornata di dibattito e di confronto con i protagonisti della scena politica europea. Un momento che la Cia ha riassunto nello slogan “Una Pac più coraggiosa con agricoltori e territori protagonisti”, coinvolgendo nella discussione anche le rappresentanze dei produttori agricoli Ue, il mondo universitario e della ricerca.
Nella sede del Copa-Cogeca, si sono alternati nei loro interventi Paolo De Castro, Giovanni La Via, Franco Sotte, Jerzy Bogdan Plewa, Pekka Pesonen e Marco Ricceri. La burocrazia – ha spiegato la Cia attraverso l’intervento del presidente nazionale Dino Scanavino – continua a pesare sulla gestione aziendale del settore agricolo. Una situazione allarmante che frena gli investimenti e rallenta i processi di ammodernamento e che si è aggravata con l’applicazione delle ultime regole comunitarie, tanto che la stessa Commissione ne ha preso atto con l’agenda di semplificazione (da cui la “proposta Omnibus”). Un caso su tutti il “greening”, nato con l’obiettivo di giustificare e remunerare le funzioni pubbliche svolte dalle imprese agricole ma che, fin dall’inizio della sua applicazione, ha mostrato tutta la sua complessità e onerosità gestionale. Per queste ragioni è da considerarsi “irriformabile”.
Per la Cia, quindi, nella regolamentazione post 2020 la ratio deve partire da un nuovo rapporto tra agricoltura e territorio e, al suo interno, bisogna riorganizzare le politiche di sviluppo rurale (Psr). Nelle aree rurali, gli agricoltori non hanno la forza e la dinamicità per sfruttare le potenzialità delle misure del secondo pilastro della Pac (gli interventi hanno riguardato solo 162 mila progetti). Paradossalmente, la sopravvivenza delle imprese è funzionale all’utilizzo delle risorse del primo pilastro (di cui hanno beneficiato oltre 1,2 milioni di aziende).
Il pagamento unico, gli interventi per i piccoli agricoltori, il sostegno accoppiato sono spesso gli unici strumenti che assicurano il mantenimento e lo sviluppo delle attività produttive. Occorre concentrare gli interventi nelle aree ad elevato potenziale rurale e trasformare l’agricoltura di sussistenza in una risorsa di crescita, capace di offrire sostegno economico e servizi sociali e ambientali ai territori. A ciò va aggiunta la necessità di definire nuovi strumenti per gestire la tensione dei mercati agricoli che, soprattutto negli ultimi anni, ha proiettato il settore verso uno scenario d’incertezza.
Il prossimo 25 marzo si celebreranno i 60 anni della firma dei Trattati di Roma al cui interno gli obiettivi della Politica agricola comune hanno rappresentato un caposaldo, un elemento di unione per l’Europa. Ma in oltre mezzo secolo di storia lo scenario è cambiato sostanzialmente e bisogna prenderne atto. Volendo lanciare una provocazione, nel definire le regole dell’agricoltura europea post 2020, si dovrebbe ragionare come se la Pac non fosse mai esistita. “Servirebbe una Pac ex novo- ha spiegato Scanavino – che possa tornare a essere un elemento unificante dei popoli europei, che possa mitigare il diffondersi dei populismi e avere, ancora più di oggi, un ruolo centrale nella gestione e nell’occupazione dei migranti. Perché abbiamo davanti, forse, l’ultima chance per tornare a crescere davvero e garantire benessere a tutta la collettivita’ “.