giovedì, Novembre 21, 2024
Alimentazione

Legumi: più consumo, ma manca il luogo d’origine

Il 10 febbraio ricorre la Giornata Mondiale istituita dalla FAO per questa specie di alimento ricco di proteine e fibre minerali. Secondo un’indagine Coldiretti/Ixé i consumatori italiani preferirebbero comprare prodotti italiani, ma l’etichetta per quelli secchi non è ancora obbligatoria

Volano i consumi di legumi che nell’ultimo decennio sono aumentati del 47%, dai piselli ai fagioli, dai ceci alle fave fino alle lenticchie, sulla spinta di una vera e propria svolta green nelle scelte di acquisto dei consumatori. È quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat in occasione della Giornata mondiale dei legumi istituita dall’Organizzazione delle Nazione Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) come un’opportunità per aumentare la consapevolezza dei benefici dei legumi per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili.

La pandemia Covid ha accelerato la tendenza a mettere nel carrello cibi più salutari – sottolinea Coldiretti – riportando sulle tavole prodotti come ad esempio fagioli, che in passato erano chiamati non a caso “carne dei poveri”, poiché contribuivano a garantire una corretta alimentazione a chi non poteva permettersi la carne.   

Sul fronte nutrizionale – evidenzia la Coldiretti – i legumi sono, infatti, un’ottima fonte di proteine e di fibre alimentari, utili per regolare le funzioni intestinali e per il controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. Contengono di sali minerali, come ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio, vitamine del gruppo B e, quando sono freschi, anche vitamina C. Dal punto di vista ambientale – continua la Coldiretti – le piante di legumi hanno un importante ruolo nella difesa della fertilità dei suoli grazie alla loro capacità di fissare l’azoto al terreno, riducendo l’uso di concimi chimici e contribuendo alla difesa delle acque e dell’ambiente.

I legumi più diffusi in Italia sono fagioli, piselli, lenticchie, ceci e fave oltre a cicerchie, lupini e soia ma il Belpaese – continua la Coldiretti – può contare anche su molte produzioni tipiche di qualità riconosciute dall’Unione Europea come i fagioli di Rotonda, di Atina, di Sarconi, di Sorana, di Cuneo, vallata bellunese oltre alle lenticchie Castelluccio e a quelle di Altamura.

Le coltivazioni nazionali sono diffuse su oltre 150mila ettari ai quali se ne aggiungono 273mila seminati a soia e soffrono – denuncia la Coldiretti – della pressione degli arrivi di prodotto a basso costo e ridotta qualità, magari favoriti dagli accordi commerciali. La produzione nazionale si è così drasticamente ridotta rispetto al passato, accentuando la dipendenza dall’estero, nonostante una ripresa degli ultimi anni. In piena pandemia da Covid le importazioni di legumi in Italia hanno superato i 400 milioni di chili in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – spiega la Coldiretti – con un balzo del 16% per i piselli, sulla base dei dati Istat relativi ai primi dieci mesi del 2021.

Il risultato è che tre piatti di fagioli, lenticchie e ceci su quattro che si consumano in Italia oggi, sono in realtà stranieri, provenienti soprattutto da Paesi come gli Stati Uniti e il Canada dove vengono fatti seccare con l’utilizzo in pre-raccolta del glifosato secondo modalità vietate sul territorio nazionale.

Infatti, oltre il 90% delle lenticchie consumate in Italia sono straniere, soprattutto americane e canadesi.  Ma la dipendenza dalle importazioni è all’incirca della stessa percentuale anche per i fagioli, che – sottolinea la Coldiretti – arrivano in gran parte dall’Argentina oltre che dal Nord America, del 70% per i piselli e di più del 50% per i ceci.

Tra i paesi che esportano i loro prodotti in Italia ci sono anche il Messico, molti paesi del Medio Oriente e la Turchia attraverso la quale avvengono spesso triangolazioni. All’estero non vengono rispettate le stesse normative che vigono nel nostro Paese in materia di utilizzo di sostanze chimiche, come nel caso del glifosato, ma anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro come per i fagioli messicani inseriti nella black list dal Ministero del Lavoro degli Stati Uniti nell’ultimo rapporto sullo sfruttamento del lavoro minorile.

Occorre assicurare che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute. Ma occorre anche rivedere il meccanismo degli accordi che favoriscono l’arrivo di prodotti stranieri sulle nostre tavole dove vanno applicati tre principi fondamentali: parità delle condizioni, efficacia dei controlli, reciprocità delle norme.

Con l’82% dei consumatori che secondo l’indagine Coldiretti/Ixè preferisce comprare prodotti italiani per sostenere l’occupazione e l’economia nazionale in un momento particolarmente difficile per il Paese è necessario – sostiene Coldiretti – arrivare a una chiara indicazione di origine in etichetta che non è ancora obbligatoria per i legumi secchi o per quelli in scatola. Per non cadere nell’inganno del falso Made in Italy – conclude Coldiretti – è necessario privilegiare legumi che esplicitamente evidenziano l’origine nazionale in etichetta, come avviene per Dop e Igp, o che si possono acquistare direttamente dagli agricoltori nei mercati di Campagna Amica lungo tutto il territorio nazionale.​

Autore

Hide picture