martedì, Dicembre 3, 2024
Agricoltura

La politica della pesca in Sicilia mette in luce successi e limiti della PCP

Nel tentativo di rinforzare gli stock ittici nel Mediterraneo, Bruxelles contingenta l’attività della flotta europea, ma si scontra in queste aree con il fervore dei Paesi extra Ue

Il rapporto diffuso dall’Osservatorio della Pesca nel mediterraneo  da parte dell’assessorato della Regione siciliana relativo all’anno appena trascorso evidenzia – proprio in questo territorio che conserva più del 20% della flotta natante italiana dedicata a questa attività – successi e contraddizioni legati al piano di revisione del comparto per una sua maggiore sostenibilità voluto da Bruxelles attraverso le disposizioni varate a più riprese dalla PCP, il Piano comune della Pesca (programma pluriennale di indirizzo, che al pari della Pac in agricoltura,  è rivolto specificatamente al mondo del pescato).

Negli ultimi anni, a fronte dell’oggettiva riduzione degli stock ittici nel Mediterraneo, la PCP ha infatti progressivamente rinforzato le disposizioni  per il contingentamento dei quantitativi pescati, anche attraverso misure per la razionalizzazione e il rimodernamento delle flotte in circolazione.

Il rapporto dell’Osservatorio della Regione siciliana, prendendo in considerazione il periodo che va dal 2008 al dicembre 2017,  evidenzia immediatamente che negli ultimi dieci anni la riduzione complessiva della flotta dei pescherecci italiani (era di 13.683 unità nel 2008 è scesa a 12.270 nel 2017) è stata assorbita per quasi il 50% proprio dalla Sicilia che ha eliminato quasi 500 battelli (la flotta era di 3225 elementi nel 2008. Nel 2017 si è stabilizzata a 2775).

Percentualmente la consistenza numerica di questa regione rispetto a quella nazionale  è passata così dal 23,57% al 22,62% ed è decresciuta in potenza dal 24,29% al 23,75% .

Un ridimensionamento consistente giustificato  anche alla vetustà del settore. Buona parte della flotta siciliana, si legge nel rapporto,  è infatti ancora composta da imbarcazioni costruite fra gli anni ‘70 e ’90. La maggior parte dei navigli è di legno (2313 il numero assoluto) mentre sono veramente molto poche,  39, le imbarcazioni in fibroplastica.

Fra gli altri dati diffusi dall’Osservatorio viene evidenziato il periodo della rottamazione delle imbarcazioni. Questo ha raggiunto il suo massimo picco fra il 2012 e il 2015, in ritardo rispetto a quanto accaduto nelle altre regioni che hanno invece completato il processo fra il 2010 e il 2012.

Tutti obiettivi che pur in linea con quanto disposto dalla PCP – e che ne decretano insieme il suo successo – hanno comunque creato molti problemi sia sul fronte occupazionale che sull’alterazione nello sviluppo del relativo indotto (dalla cantieristica al comparto della logistica per la distribuzione del prodotto) e che pongono anche molti interrogativi sulla concreta efficacia di queste azioni.

L’obiettivo fondamentale della Politica europea della pesca basato sulla demolizione del naviglio è stato infatti quello di legare la riduzione dello sforzo di pesca nell’intento di ricostruire gli stock ittici – offrendo in un prossimo futuro nuove prospettive economiche al settore –  salvaguardando insieme biodiversità ed ecosistemi delle nostre marine.

Si pone, però, sottolinea il rapporto, un problema evidente; le aree di pesca della flotta peschereccia siciliana (ma vale anche per le altre regioni)  sono spesso in comune con le flotte dei Paesi nord africani o extra europei in generale. Qui negli ultimi anni nazioni  come Egitto, Tunisia, Algeria e Marocco hanno aumentato notevolmente la loro presenza e consistenza. Basta ricordare che la sola flotta egiziana è cresciuta del 40% nel periodo 1997-2015, raggiungendo quasi 5.000 natanti, dei quali oltre il 62% pesca nel Mediterraneo, spesso nelle stesse aree della pesca a strascico delle barche siciliane.

Il piano di programma europeo, condiviso nei sacrifici con gli altri stati dell’Unione – avverte il rapporto –   potrebbe però così fallire completamente i suoi obiettivi di sostenibilità per il settore se non verrà compensato in maniera più incisiva da accordi per una politica di cooperazione e gestione delle risorse ittiche anche con gli altri Paesi extracomunitari che operano nel Mediterraneo.

Cristiana Persia

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