giovedì, Maggio 9, 2024
Fitoterapia

La fitoterapia: tradizione antica, scienza moderna

Senza le piante, noi non esisteremmo. La terra è nata senza ossigeno, le piante lo hanno prodotto. Esse hanno fabbricato – e continuano a rifornire – l’atmosfera che respiriamo e che tempera il clima, rendendolo compatibile con la nostra vita. Sono, poi, la nostra principale fonte di cibo. Anzi, l’unica fonte di cibo, perché senza di loro non ci sarebbero nemmeno la carne, il latte e le uova. È naturale che ci curino, sarebbe sorprendente il contrario!

Origini e attualità della fitoterapia

Il termine “fitoterapia” – dal greco φυτόν (pianta) e θεραπεία (cura) – è del tutto moderno: è stato coniato nel XX secolo da Henri Leclerc, il medico francese che ha traghettato questa antica disciplina nei tempi moderni con il suo trattato Precis de Phytotherapie.
Ma la pratica di curare con le erbe è plurimillenaria. Si può dire, anzi, che tale pratica sia antica quanto la cultura umana, come testimoniano alcuni reperti di paleoantropologia. Tracce di camomilla e Achillea millefolium sono state individuate nel tartaro dei denti di Homo neanderthalensis risalenti ad oltre 40.000 anni fa. Otzi, il famoso “uomo di Similaun” datato a 5.200 anni fa, portava con sé dei funghi del genere inonotus, noti per le proprietà medicinali, ma non commestibili per la loro estrema durezza.

Notizie sull’uso di erbe medicinali sono riportate nelle tavolette di Nippur (Mesopotamia) del IV millennio a. C.
Il papiro di Ebers (Egitto, 1500 circa a. C.) contiene un vero e proprio trattato di medicina nel quale, accanto a pratiche magiche, figurano molti rimedi a base di erbe.

Le tavolette di Nippur
Il papiro di Ebers

Per venire a luoghi ed epoche relativamente (e, soprattutto, culturalmente) più vicini a noi, Ippocrate di Coo, tra il V e il IV secolo a. C., pose le basi della medicina intesa come scienza e professione laica inserendo i “rimedi” vegetali tra i principi terapeutici. Anche per Galeno le “erbe” sono la base della farmacopea. Nel Medioevo e nel Rinascimento, le Scuole Mediche di Salerno e di Montpellier, gli scritti di Santa Ildegarde von Bingen, i libri di Pietro Andrea Mattioli e di Castore Durante hanno continuato a tramandare le conoscenze erboristiche. Ma tutta la medicina, fino allo scorso secolo, si è basata quasi esclusivamente sull’azione curativa delle piante.

L’uso terapeutico delle piante medicinali caratterizza, in effetti, non soltanto tutte le epoche, ma anche tutte le regioni del mondo: la medicina tradizionale cinese e quella ayurvedica fanno uso di rimedi vegetali nella loro storia millenaria; interessanti conoscenze ci sono giunte dai Nativi nordamericani, dai popoli andini e dagli Indios dell’Amazzonia, come pure dalle tradizioni popolari delle steppe siberiane; ma tutte le regioni del mondo hanno le loro tradizionali cure con le erbe. Anche, non dimentichiamolo, tutte le regioni italiane! Quanti erano i rimedi tradizionali a base di erbe delle nostre nonne?

Oggi, dopo un periodo – brevissimo, nell’orizzonte della storia – di apparente abbandono delle piante medicinali, l’interesse verso di queste è rinato ed è crescente. Al momento (09/0172021) la banca dati MEDLINE della US National Library of Medicine-National Institutes of Health, raccoglie sull’argomento 88.712 pubblicazioni scientifiche, sia cliniche sia sperimentali, di cui 49.565 negli ultimi 10 anni (search terms: phytotherapy OR herbal products OR herbal medicine).

Nel 2015 il premio Nobel per la medicina è stato conferito alla dottoressa Tu Youyou, farmacologa cinese, per la scoperta (o meglio: riscoperta) delle proprietà antimalariche dell’Artemisia annua (qinghao in lingua cinese), pianta erbacea originaria dell’Hunan. Le proprietà dell’artemisia e le modalità di preparazione erano riportate su un testo di medicina cinese del IV secolo (Ge Hong: Manuale di Prescrizioni per le Emergenze). L’antico metodo di estrazione a freddo, al contrario di più moderne metodiche, si rivelò l’unico capace di mantenere le proprietà antimalariche della pianta e consentì l’identificazione e l’isolamento del principio attivo, l’artemisina o qinghaosu.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, lungi dal considerare le conoscenze tradizionali quali mere curiosità folcloristiche, riconosce la cosiddetta “etnomedicina” (la disciplina che studia le medicine tradizionali, scritte o tramandate oralmente) come un’importante risorsa per il progresso delle conoscenze mediche e per la lotta alle malattie in tutti i continenti. L’esistenza di una secolare tradizione di etnomedicina documentata e controllata è, anzi, l’unica alternativa riconosciuta dall’OMS alle prove d’efficacia dei trial clinici randomizzati (RCT).

Attualmente le sostanze di origine vegetale con riconosciuti effetti farmacologici sono moltissime. Secondo l’OMS, il 25% dei farmaci moderni originano da piante di uso tradizionale, e sono circa 7.000 le sostanze di origine vegetale presenti nella moderna farmacopea.
L’esempio più noto è certamente l’acido salicilico. Sintetizzato industrialmente (nella seconda metà dell’Ottocento) in forma acetilata come “aspirina”, è da sempre presente nella corteccia del salice e nella Spiraea ulmaria (da qui i nomi “salicilico” e “aspirina”). Sia Ippocrate sia i Nativi americani ben conoscevano gli effetti della corteccia di salice, che non solo è altrettanto efficace, ma è anche priva degli effetti indesiderati del farmaco sintetico.

Altri esempi sono meno noti ma più importanti. La moderna anestesiologia è debitrice alle piante ed all’etnomedicina dei suoi progressi. Infatti, il curaro (veleno vegetale degli indios amazzonici, e farmaco indispensabile all’anestesia generale ed alle tecniche rianimatorie) è ricavato dal Chondrodendron curarea. La morfina (ottenuta dal lattice del Papaver somniferum) è il capostipite, ancora usato e prezioso, degli analgesici. L’atropina (alcaloide estratto dall’Atropa belladonna) e la fisostigmina (alcaloide del Physostigma venenosum o fava del Calabar) sono farmaci efficacissimi, fondamentali per lo sviluppo dell’anestesia generale; e senza le foglie di Erythroxylum coca non sarebbe mai nata l’anestesia locale.

Peculiarità della fitoterapia

Ma non per questo i rimedi fitoterapici e i farmaci industriali sono la stessa cosa. Al contrario, i primi hanno caratteristiche peculiari, che rendono la fitoterapia una disciplina complementare, ma tutt’altro che sovrapponibile alla medicina “main stream”. Mentre i farmaci di sintesi, caratteristici della medicina convenzionale e dell’industria farmaceutica, sono generalmente costituiti da un singolo principio attivo, con un pattern di azione ben definito, i rimedi fitoterapici si presentano più complessi e interessanti, avendo una composizione più ricca ed equilibrata.

È bene, prima di proseguire, familiarizzarsi con alcune definizioni.
Si chiama “droga vegetale” la parte della pianta (fiore, radice, foglie, frutti, resina, gemme, corteccia o pianta intera) che contiene i principi attivi. Per essere efficace – o massimamente efficace – deve essere prelevata nel momento di maggior ricchezza di sostanze attive: il “periodo balsamico”, che è proprio di ciascuna pianta.
Si chiama “fitocomplesso” l’insieme dei componenti chimici di una “droga”, risultante dalla naturale combinazione dei principi attivi con altre sostanze; queste possono essere terapeuticamente inattive (per es. la cellulosa) o avere azioni complementari di diverso tipo (vitamine, sali minerali, aminoacidi, polisaccaridi, tannini, flavonoidi, oligosaccaridi ecc.).
Tale insieme nella sua interezza conferisce alla pianta le specifiche proprietà terapeutiche per cui viene utilizzata.

Complessità della fitoterapia

L’orchestra del fitocomplesso non sta insieme per caso: poiché la pianta lo produce per curare, difendere o diffondere sé stessa, la molteplicità di sostanze di un fitocomplesso è guidata dall’intelligenza della natura ed ha complesse interazioni, che in alcuni casi ne esaltano l’efficacia (sinergia), in altri ne moderano gli effetti indesiderati.

Qualche volta il fitocomplesso ha effetti che i singoli principi attivi non hanno. Ad esempio, l’Hypericum perforatum (droga: sommità fiorite, estratto idroalcolico) come fitocomplesso ha azione antidepressiva; mentre le sue principali sostanze attive – l’iperforina e l’ipericina – da sole non hanno efficacia. La stessa droga, usata sulla pelle come oleolito, ha azione antinfiammatoria ed eudermica, ed è un ottimo rimedio contro le ustioni (huile Saint Jaques della tradizione provenzale).

Hypericum perforatum

La duplice azione dell’iperico ci porta ad un altro argomento che caratterizza la fitoterapia. L’attività terapeutica dipende non soltanto dalla pianta e dal tipo di droga utilizzata, ma anche dalla metodica usata per ottenere un preparato. Come abbiamo visto, le proprietà antimalariche dell’artemisia si perdono se si adotta un metodo sbagliato di estrazione. O, come per l’iperico, le proprietà terapeutiche cambiano in rapporto al metodo di lavorazione. Esistono infatti diversi modi per utilizzare le piante medicinali, ognuno dei quali è più o meno efficace od opportuno.

La droga vegetale può essere utilizzata come decotto, infuso, tintura madre, estratto secco, macerato glicerico (gemmoderivato), distillazione in corrente di vapore (olio essenziale), mellito, oleolito, enolito (cioè macerata nel miele, nell’olio o nel vino) …e certamente ho dimenticato qualcosa.

Sarà bene fare qualche altro esempio.

Equisetum arvensis
Urtica dioica
Tilia tomentosa

L’equiseto (Equisetum arvensis) offre due diversi fitocomplessi dalla stessa droga, a seconda del metodo di preparazione: la tintura madre è un potente diuretico; la polvere come tale è remineralizzante osseo, utile nella prevenzione di osteopenia ed osteoporosi. Ma la tintura madre è usata anche in creme antirughe, antismagliature e anticellulite.
L’ortica (ùrtica dioica) ha diverse droghe, con diversi fitocomplessi. La parte aerea, come tintura madre, ha azione diuretica, antireumatica ed antiemorragica (vit. K). La stessa parte, usata fresca o secca come tale, ha azione remineralizzante (Ca, Si), antianemica (Fe, clorofilla), ricostituente (tutti gli AA essenziali, oligoelementi, vitamine). La radice, invece, cura l’ipertrofia prostatica e, come lozione, cura la forfora e contrasta la caduta dei capelli.
Il tiglio (Tilia tomentosa) ha ben 4 diverse droghe, con diversi fitocomplessi. Il macerato glicerico delle gemme (gemmoderivato) è anti distonico e ansiolitico. I fiori con brattee hanno azione emolliente e fluidificante bronchiale. L’alburno è diuretico e coadiuva la cura della cellulite. Dal legno si ottiene il miglior carbone vegetale, utile per curare il meteorismo intestinale e le intossicazioni.
Come si vede, la fitoterapia non è una disciplina semplice e richiede competenza ed esperienza.

Vantaggiose prospettive

Un’altra importante caratteristica dei farmaci fitoterapici (la normativa italiana li considera dei semplici “integratori”: ma sarei disonesto a dire che non sono farmaci) è che, in diversi casi, lo stesso fitocomplesso agisce su diversi “target” ed ha un insieme articolato di effetti. Ad esempio, uno stesso fitocomplesso può esplicare azione antinfiammatoria, antiossidante e antisettica, un altro può essere ansiolitico e betabloccante, o epatoprotettivo, antiossidante e antineoplastico. Prendendo a prestito l’appellativo che Omero dà ad Ulisse, vorrei definire “politropa” questa “multiforme” attività.

Tale modalità di azione è auspicata anche dalla medicina e dalla farmacologia main stream, che stanno volgendo la propria attenzione allo sviluppo di farmaci attivi verso un insieme di bersagli: è la cosiddetta “multitarget-directed ligands” (MTDL) strategy*. Soprattutto nelle patologie più complesse se ne sente il bisogno.

Un tipico esempio di patologia complessa è rappresentata dal gruppo delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI o, con acronimo anglofono, IBD). Tutte queste comprendono un insieme di fattori patogenetici piuttosto composito: l’infiammazione cronica con fasi acute e iperacute, l’alterata risposta immunitaria, la riduzione e modificazione del microbiota intestinale, lo sviluppo di tossine e radicali liberi, la compromissione della funzione di barriera intestinale, la possibilità di infezioni e le ripercussioni delle alterazioni intestinali sullo stato di salute generale.   Per tale motivo vi è una crescente attenzione e ricerca sull’attività dei farmaci vegetali, alcuni dei quali presentano un’azione multi-target particolarmente adatta a queste patologie.

Curcuma longa
Boswellia serata

Per esempio, la curcuma (Curcuma longa, droga: rizoma) contrasta i fenomeni infiammatori con la sua azione inibitoria su diverse citochine, sull’interferone e sulla ciclossigenasi2; innalza i livelli di sostanze antinfiammatorie naturali (prostaglandina E2 e IL10); modula la risposta immunitaria attraverso i meccanismi di segnalazione cellulare; è un potente antiossidante; previene la fibrosi nella malattia di Crohn. Ma ha anche altri effetti collaterali “desiderabili”: è antisettica, epatoprotettiva, cardioprotettiva, antiartrosica.
La Boswellia serata (droga: resina) ha un’azione antinfiammatoria caratterizzata dall’inibizione della 5-lipossigenasi e dei leucotrieni; riduce selettivamente la flora patogena intestinale; contrasta il reclutamento e l’adesione dei leucociti e delle piastrine nelle venule del colon, prevenendo la formazione di micro ascessi e ulcere mucose, tipici della rettocolite; è antiossidante.
Ma questi sono solo esempi non esaustivi delle piante medicinali in studio o già utilizzate per queste importanti patologie.

Per concludere

Riassumendo le peculiarità dei rimedi fitoterapici, possiamo concludere che le piante medicinali sono caratterizzate dal fitocomplesso, un insieme armonico di sostanze che agisce contemporaneamente su diversi “bersagli” con bassa incidenza di effetti indesiderati. Frequentemente, anzi, le piante medicinali hanno effetti collaterali desiderabili, cioè azioni benefiche aggiuntive.
La fitoterapia è una branca della medicina in costante sviluppo, che si avvale, al giorno d’oggi, di ricerche avanzate in campo sperimentale e clinico, senza con questo dimenticare l’apporto di conoscenze provenienti dalle tradizioni di tutto il mondo. Una branca complessa per la ricchezza delle risorse naturali ed i diversi metodi di preparazione che utilizza.
Ma vi è un’ultima caratteristica che mi preme sottolineare. La fitoterapia è una disciplina intrinsecamente ecologica: essa ci ricorda sempre il nostro bisogno di risorse naturali integre e di biodiversità.

Cesare Pirozzi


* Multi-Target Directed Drugs as a Modern Approach for Drug Design Towards Alzheimer’s Disease: an update. Curr Med Chem. 2018 Jan 10.

Autore

  • Cesare Pirozzi

    Laureato in medicina, specialista in chirurgia generale e chirurgia pediatrica, per quarant'anni ha esercitato a tempo pieno la professione di chirurgo e, in minor misura, di docente. Ritiratosi dal lavoro ospedaliero nel 2014, specializzatosi in Fitoterapia, ha proseguito nell'insegnamento presso l'Università della Tuscia (Viterbo) ed ha dato finalmente spazio alla sua passione per le humanae litterae (sue pubblicazioni: "Canto segreto", piccola raccolta di poesie; "Il segreto di Dante", saggio in cui propone la sua interpretazione del senso anagogico della Divina Commedia; "La natura delle cose", frutto del suo mai sopito interesse verso la scienza e la filosofia, particolarmente verso le aree del sapere che entrambe le discipline, apparentemente così lontane, tornano oggi a condividere). Oltre che su mediaquattro.it scrive articoli di divulgazione medica, di attualità politica e di costume su varie riviste cartacee e online.

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