venerdì, Maggio 3, 2024
Ambiente

Clima. Sì del Parlamento europeo all’accordo di Parigi

Con la ratifica odierna raggiunti i parametri per entrare in vigore nel mondo intero sin dal mese prossimo

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 di Oreste Barletta

Con uno scatto d’orgoglio collettivo che fra l’altro ha favorito la rapida individuazione di una procedura innovativa, l’Unione europea sta smentendo coloro che la definiscono un pigro elefante ammalato cronico di burocrazia. E a mezzogiorno oggi, con un voto dell’Europarlamento quasi plebiscitario (610 sì, 38 no e 31 astensioni), ha acceso il semaforo verde per giungere ormai senza ostacoli (o quasi), insieme con i più importanti Paesi del mondo, al traguardo dell’accordo per la lotta al riscaldamento globale. Un accordo che era stato raggiunto a Parigi il 12 dicembre dell’anno scorso, al termine della COP21, la Conferenza delle parti (cioé gli Stati) della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. E che obbliga tutti i Paesi del globo, compresi quelli che non lo hanno ratificato, a impegnarsi affinché l’aumento del riscaldamento terrestre sia contenuto “ben al di sotto del 2% rispetto a quello dell’epoca preindustriale”. Obiettivo che richiede  al mondo intero una drastica riduzione dell’emissione di gas a effetto serra grazie all’imminente entrata in vigore dell’accordo di Parigi, il primo in assoluto vincolante su scala globale in tema di protezione climatica.

Ma, raffreddatosi l’entusiasmo suscitato dall’esito positivo della COP21, il passaggio successivo, cioé quello che avrebbe condotto alla ratifica dell’accordo di Parigi, ha tardato a concretarsi. Al punto che prima dell’inizio dell’estate solo 24 dei 195 Paesi rappresentati alla Conferenza di Parigi avevano completato le procedure di ratifica. Ma si trattava perlopiù di minuscoli Stati insulari che, tutti insieme, rappresentavano l’un per cento delle emissioni mondiali di gas a effetto serra. Di quel passo, l’accordo col quale si era chiusa la COP21 – pur rafforzato da un incontro convocato dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon tenutosi a New York il 22 aprile per far firmare il testo dell’accordo ai rappresentanti degli Stati presenti quattro mesi prima a Parigi – rischiava di restare lettera morta. Poiché la condizione per la sua entrata in vigore era la ratifica preventiva da parte di  almeno 55 Stati che, insieme, producono non meno del 55% delle emissioni mondiali.

A questo punto quindi era diventato indispensabile superare quella iniziale fase di stallo.  Una prima accelerazione del dopo-COP21 è stata impressa dalla Commissione europea, che il 10 giugno ha presentato una proposta di ratifica dell’accordo di Parigi a nome dell’Ue tutta intera. “Dopo Parigi l’Unione europea si mette al lavoro. Siamo determinati a mantenere la dinamica e lo spirito dell’accordo di Parigi e a garantire la ratifica e l‘attuazione di questo storico accordo nei tempi più rapidi”, ha sottolineato in quei giorni il commissario Ue per l’Azione per il clima e l’Energia Miguel Arias Cañete.

Il mese di settembre poi ha fatto registrare in rapida successione alcune iniziative tese ad evitare che l’Europa finisse nell’angolo proprio su uno dei temi – la riduzione del riscaldamento globale – che da anni è uno degli obiettivi più qualificanti delle politiche europee. “Sarebbe stato impensabile che l’accordo raggiunto a Parigi il 12 dicembre dell’anno scorso potesse entrare in vigore senza la firma dell’Unione europea”, dice Giovanni La Via, presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, che ha guidato la rappresentanza degli eurodeputati alla COP21, e che ricoprirà lo stesso ruolo anche alla COP22 che si terrà in Marocco, a Marrakech, il mese prossimo.

La prospettiva di una sorta di auto-emarginazione dell’Europa in un processo di cescita cruciale per il mondo intero stava rischiando di tramutarsi in realtà. Si pensi, per esempio, alla ratifica dell’accordo di Parigi da parte degli Stati Uniti e della Cina, sopravvenuta in occasione del G20 di inizio settembre. Ratifica alla quale hanno fatto seguito in questi giorni quelle dell’India e del Canada. Con la conseguenza che è stata raggiunta e superata la soglia minima dei 55 Stati che hanno completato la procedura di ratifica, la prima delle due condizioni richieste perché l’accordo di Parigi possa entrare in vigore. Mentre per la seconda (almeno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra) fino a pochi giorni fa il raggiungimento della soglia era ancora in forse.

Così che nelle ultime settimane si è fatta strada l’idea di un’unica ratifica da parte dell’Ue (che produce il 12% delle emissioni complessive sulla Terra); nel qual caso quel 55% sarebbe stato superato senza problemi, evitando al tempo stesso il rischio che non tutti gli Stati membri  sarebbero riusciti a completare in tempo le procedure per ben 28 ratifiche. Idea partita dalla Slovacchia, che sino a fine anno assicura la presidenza semestrale dell’Unione, e portata avanti alla garibaldina dal suo ministro dell’Ambiente, Làszlò Sòlimos. Il quale ha convocato i colleghi europei a Bruxelles per un Consiglio straordinario dei ministri dell’Ambiente che si è tenuto venerdì 30 settembre e ha approvato (con qualche mal di pancia da parte dell’Italia e della Polonia, preoccupate dal rischio di poter essere penalizzate nella suddivisione degli sforzi richiesti dall’esigenza di contenere le emissioni dei singoli Stati membri) la proposta secondo la quale sarà l’Ue a presentare la richiesta di ratifica dell’accordo di Parigi.

Così congegnata, la proposta ieri è stata approvata a larghissima maggioranza (54 sì contro 3 no e nessun astenuto) dalla commissione Ambiente e oggi, con analoga ampiezza di consensi, dall’assemblea plenaria dell’Europarlamento. Un risultato che sancisce il superamento di quei due parametri e che, trascorsi 30 giorni dal voto di oggi, porterà all’automatica entrata in vigore dell’accordo di Parigi.

“Un risultato enorme, mentre ci sono voluti otto anni per l’entrata in vigore del il protocollo di Kyoto. Il voto di oggi significa anche che l’UE resta leader nella lotta al cambiamento climatico”, ha commentato il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Un risultato forse inatteso fuori dall’Europa, ipotesi avvalorata dalla decisione del segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon a scapicollarsi a Strasburgo per  partecipare e intervenire alla plenaria insieme con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, e della presidente della COP21 e ministro francese dell’Ambiente Ségolène Royal.

“L’Unione europea ha una lunga esperienza di leadership nella lotta contro il cambiamento climatico”, ha detto Ban Ki-moon prima del voto nell’aula di Strasburgo, sottolineando l’importanza della ratifica dell’Europa. E ricordando inoltre che “la lotta al cambiamento climatico non è solo una delle più importanti sfide del nostro tempo, ma anche l’opportunità di costruire un’economia più sostenibile e competitiva e società più stabili”.

 

 

Autore

  • Roberto Ambrogi

    Giornalista professionista, specializzato nel settore economico-finanziario con pluridecennale esperienza maturata attraverso tutti i tipi di media (agenzie di stampa, quotidiani e periodici, radio, tv e web). Esperto di comunicazione, effettuata in vari settori economici (per conto di società finanziarie, industrie agroalimentari, aziende commerciali e turistiche) e politici (Responsabile rapporti con la Stampa di Partiti e Gruppi Parlamentari).

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