sabato, Maggio 18, 2024
Ambiente

Clima, la COP26 a Glasgow è l’ultima spiaggia

Necessaria una decisa azione comune per invertire la tendenza e dare piena attuazione agli accordi di Parigi

da sin. – Boris Johnson, Mario Draghi e Antonio Guterres

È cominciata ieri sera a Glasgow, in Scozia, la COP26, che fino al 12 novembre vedrà riuniti nella città scozzese i delegati di quasi 200 Paesi, tra cui un centinaio di capi di Stato e di governo, per discutere e negoziare soluzioni per far fronte ai problemi posti dal riscaldamento globale. Al vertice partecipano anche migliaia di negoziatori, esperti ed esperte di clima, dirigenti aziendali, esponenti della società civile, rappresentanti di organizzazioni non governative e giornalisti da tutto il mondo. La Conferenza delle Parti (COP) è l’evento annuale organizzato dall’ONU a seguito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (in inglese United Nations Framework Convention on Climate Change da cui l’acronimo UNFCCC o FCCC), adottata nel 1992 durante l’Earth Summit di Rio dei Janeiro, primo evento in cui i leader mondiali si sono riuniti per affrontare collettivamente i problemi posti dai cambiamenti climatici. In quell’occasione le Nazioni Unite hanno invitato i paesi a firmare una convenzione sul clima che avrebbe impegnato ciascun paese a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. In questo trattato, noto come “Accordi di Rio”, le nazioni hanno concordato di “stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera” per prevenire pericolose interferenze dell’attività umana sul sistema climatico. Il trattato, che oggi conta 197 firmatari, è entrato in vigore nel 1994, per cui – grattandosi di un appuntamento annuale – la Conferenza di quest’anno avrebbe dovuto essere la ventisettesima, ma a causa della pandemia del Covid-19 nel 2020 l’appuntamento è slittato, per cui quella che si tiene a Glasgow è la COP 26.

Ma cosa si è stabilito esattamente negli Accordi di Rio e durante le 25 precedenti tornate della Conferenza? Come si è detto il trattato punta alla riduzione delle emissioni dei gas serra, alla base del riscaldamento globale: il trattato, come stipulato originariamente, non poneva limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle singole nazioni; era quindi, sotto questo profilo, legalmente non vincolante. Esso però includeva la possibilità che le parti firmatarie adottassero, in apposite conferenze, atti ulteriori (denominati “protocolli”) che avrebbero posto i limiti obbligatori di emissioni. Il principale di questi, adottato nel 1997, è il protocollo di Kyōto, che è diventato molto più noto che la stessa UNFCCC e giunge dopo che nel 1995 I partecipanti all’UNFCCC si incontrano a Berlino (COP1) per definire i principali obiettivi riguardo alle emissioni. Poi nel dicembre del 1997 a Kyoto, in Giappone, gli aderenti definirono un protocollo dove si accordarono in linea generale sugli obiettivi di emissioni. Il trattato entrò in vigore il 16 febbraio 2005, dopo che Russia e Canada nel 2004 ratificarono il Protocollo di Kyoto all’UNFCCC . In esso si stabiliscono precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra e del riscaldamento del pianeta da parte dei Paesi industrializzati che vi hanno aderito.

Il Protocollo di Kyoto è visto come un primo passo verso un regime di riduzione delle emissioni globali che stabilizzerà le emissioni di gas serra e capace di fornire l’architettura per i futuri accordi internazionali sui cambiamenti climatici. Esso costituisce il primo accordo internazionale che vede l’impegno vincolante, da parte degli Stati che ne hanno aderito, volto a perseguire fattivamente il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Protocollo stesso in favore del contenimento del riscaldamento globale del pianeta. Il Protocollo di Kyoto richiedeva l’impegno dei paesi sviluppati per la riduzione delle emissioni di almeno il 18% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020. In seguito al fallimento del vertice sul clima di Copenaghen del 2009, è stato adottato nel 2012 l’emendamento di Doha al protocollo di Kyoto. Esso includeva l’introduzione del periodo relativo al “secondo impegno” 2013-2020, con obiettivi altrettanto ambiziosi. Nel dicembre 2014, a Lima, gli esperti, specialisti e parlamentari si sono riuniti per negoziare un testo che potesse sostituire il protocollo di Kyoto. Le conclusioni verranno tirate durante la Conferenza sul clima di Parigi, nel dicembre 2015, dove sarà adottato il nuovo accordo che sostituisce il Protocollo di Kyoto (anche se verrà attuato solo dal 2020).

Il nuovo accordo fissa come obiettivo il mantenimento del riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2°C» e chiede di «proseguire gli sforzi per limitare l’aumento a 1,5°C» rispetto all’era preindustriale. Prevede anche una revisione degli impegni obbligatori, un Nationally Determined Contribution (NDC), un piano da ripresentare ogni cinque anni che delinei in modo chiaro e conciso la strategia che il paese intende adottare per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici, così come un aiuto finanziario di 100 miliardi di dollari all’anno per i paesi in via di sviluppo, che nel 2020 doveva essere rivisto e aumentato.

L’intesa conclusa a Parigi aveva come obiettivo quello di permettere di riorientare l’economia mondiale verso un modello a debole consumo di carbonio. Questa rivoluzione implica un abbandono progressivo delle risorse fossili (carbone, petrolio, gas), che attualmente dominano la produzione energetica mondiale, una crescita delle energie rinnovabili, una forte riduzione del consumo energetico e una maggiore protezione delle foreste. L’accordo di Parigi è entrato in vigore il 4 novembre 2016, trenta giorni dopo la data in cui almeno 55 Parti della Convenzione, che rappresentano in totale almeno il 55 % delle emissioni globali totali di gas a effetto serra, hanno depositato i propri strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione. Il 6 ottobre 2021, il parlamento turco ha ratificato l’Accordo di Parigi sul clima del 2015, La Turchia aveva firmato l’accordo nel 2016, ma non lo aveva ancora ratificato, passaggio quest’ultimo che, a differenza della firma, rende l’accordo vincolante. La Turchia era l’unico paese del G20 a non aver ancora ratificato il trattato.

Attuare finalmente il Paris Rulebook

“Senza un’azione decisiva, stiamo giocando la nostra ultima possibilità di – letteralmente – invertire la tendenza”, ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres prima dell’incontro di Glasgow. Un appuntamento importante proprio perché durante la conferenza, tra le altre questioni, i delegati punteranno a finalizzare il ‘Paris Rulebook’, ovvero le regole necessarie per attuare l’Accordo di Parigi, rimasto finora in sospeso. Questa volta dovranno concordare tempistiche comuni per la frequenza di revisione e monitoraggio dei loro impegni climatici. Fondamentalmente, Parigi ha fissato la destinazione, limitando il riscaldamento ben al di sotto dei due gradi, (idealmente 1,5) ma Glasgow è l’ultima possibilità.

Il cambiamento climatico è passato dall’essere una scomoda questione di basso livello, a un’emergenza globale pericolosa per la vita, negli ultimi tre decenni. Sebbene ci siano stati impegni nuovi e aggiornati assunti dai paesi prima della COP26, anche se gli obiettivi di Parigi venissero raggiunti, senza ulteriori, drastici cambiamenti il mondo rischia un pericoloso aumento della temperatura globale di almeno 2,7°C in questo secolo. La scienza è chiara: un aumento delle temperature di tale entità entro la fine del secolo potrebbe significare, tra l’altro, un aumento del 62% delle aree bruciate dagli incendi nell’emisfero settentrionale durante l’estate, la perdita di habitat di un terzo dei mammiferi nel mondo e siccità più frequenti da 4 a 10 mesi. Il capo delle Nazioni Unite António Guterres la chiama senza mezzi termini “catastrofe climatica”, che si sta già facendo sentire in misura mortale nelle parti più vulnerabili del mondo come l’Africa sub-sahariana e i piccoli stati insulari, sferzati dall’innalzamento del livello del mare. Milioni di persone sono già state sfollate e uccise da disastri aggravati dal cambiamento climatico. Per Guterres e per le centinaia di scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, uno scenario di riscaldamento di 1,5°C è “l’unico futuro vivibile per l’umanità”. Il tempo stringe e per avere una possibilità di limitare l’aumento, il mondo ha bisogno di dimezzare le emissioni di gas serra nei prossimi otto anni.

Risultati ancora insufficienti

Il nuovo rapporto dell’Agenzia per l’energia dell’Onu sul divario delle emissioni mostra che i contributi determinati a livello nazionale (NDC) aggiornati – gli sforzi di ciascun paese per ridurre le emissioni nazionali, nonché altri impegni presi per il 2030 ma non ancora ufficialmente presentati – porterebbero solo a un’ulteriore riduzione del 7,5% delle emissioni annue di gas serra nel 2030, rispetto agli impegni precedenti. Questo non è abbastanza. Secondo l’Onu, il mondo ha bisogno di una riduzione del 55% per limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C, la pietra miliare definita dagli scienziati come lo scenario meno rischioso per il nostro pianeta e il futuro dell’umanità. “Meno di una settimana prima della COP26 di Glasgow, siamo ancora sulla buona strada per la catastrofe climatica”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres durante una conferenza stampa di presentazione della nuova valutazione. “Come dice il titolo del rapporto di quest’anno: ‘Il caldo è acceso’. E come mostrano i contenuti del rapporto, la leadership di cui abbiamo bisogno è spenta. Lontana”, ha avvertito. Il rapporto rileva che gli impegni zero netto, se pienamente attuati, potrebbero fare una grande differenza e ridurre il previsto aumento della temperatura globale a 2,2°C, fornendo la speranza che ulteriori azioni possano ancora prevenire gli impatti più catastrofici del cambiamento climatico. Tuttavia, finora queste promesse sono “vaghe” e incoerenti con la maggior parte degli impegni nazionali per il 2030, avverte l’UNEP (United Nations Environment Programme – Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) 

Un totale di 49 paesi più l’Unione Europea hanno promesso un obiettivo zero netto. Questo copre oltre la metà delle emissioni nazionali globali di gas serra, oltre la metà del PIL globale e un terzo della popolazione mondiale. Undici obiettivi sono sanciti dalla legge, coprendo il 12% delle emissioni globali. Tuttavia, molti NDC ritardano l’azione fino a dopo il 2030, sollevando dubbi sulla possibilità di mantenere impegni a zero, afferma il rapporto, sottolineando inoltre che, sebbene dodici membri del G20 abbiano promesso un obiettivo zero netto, l’ambiguità circonda ancora i mezzi per raggiungere tale obiettivo. “Il mondo deve rendersi conto del pericolo imminente che affrontiamo come specie. Le nazioni devono mettere in atto le politiche per rispettare i loro nuovi impegni e iniziare ad attuarli entro pochi mesi”, ha avvertito Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP nella prefazione. “Devono rendere più concreti i loro impegni zero netto, assicurando che questi impegni siano inclusi negli NDC e l’azione portata avanti. Devono quindi mettere in atto le politiche per sostenere questa ambizione sollevata e, ancora una volta, iniziare ad attuarle con urgenza”, ha aggiunto.

Il rapporto è chiaro: per avere una possibilità di raggiungere l’obiettivo di 1,5°C, il mondo deve quasi dimezzare le emissioni di gas serra nei prossimi otto anni. Ciò significa rimuovere ulteriori 28 gigatonnellate di CO2 equivalente dalle emissioni annuali, oltre a quanto promesso negli NDC aggiornati e in altri impegni 2030. Secondo l’agenzia dell’Onu, le emissioni post-pandemia, dopo essersi inizialmente abbassate, si sono riprese e ora stanno aumentando le concentrazioni atmosferiche di CO2, più alte che mai negli ultimi due milioni di anni. “Il divario di emissioni è il risultato di un divario di leadership, ma i leader possono ancora fare di questo un punto di svolta verso un futuro più verde invece di un punto di svolta verso la catastrofe climatica. L’era delle mezze misure e delle false promesse deve finire”, ha esortato il capo delle Nazioni Unite António Guterres. “Mentre i leader mondiali si preparano per la COP26, questo rapporto è un altro tonante campanello d’allarme. Di quanti ne abbiamo bisogno?… Gli scienziati sono chiari sui fatti. Ora i leader devono essere altrettanto chiari nelle loro azioni. Devono venire a Glasgow con piani audaci, a tempo determinato e anticipati per raggiungere lo zero netto”, ha aggiunto Guterres.

L’impegno dell’Unione europea

L ‘Unione europea intende dare l’esempio nella lotta globale contro i cambiamenti climatici. Nel corso degli anni ha adottato alcune delle normative ambientali più avanzate al mondo e ha raggiunto i suoi obiettivi passati in materia di riduzione delle emissioni. Quest’anno l’UE ha rinnovato la sua ambizione in materia di clima conformemente all’accordo di Parigi, impegnandosi a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 e facendo di questo obiettivo un obbligo giuridico attraverso la normativa europea sul clima. Tuttavia, i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia globale e l’UE non può agire da sola. Alla COP 26 l’UE intende incoraggiare gli altri paesi a intensificare i propri impegni e le proprie azioni in materia di riduzione delle emissioni e ad aumentare gli sforzi di adattamento per far sì che gli obiettivi dell’accordo di Parigi restino raggiungibili.

In quanto principale erogatore di finanziamenti internazionali per il clima, l’UE sta rispettando il suo impegno a fornire finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per aiutarli ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. L’UE e i suoi Stati membri forniscono il maggiore contributo ai finanziamenti per il clima nel mondo e riaffermano che essi restano determinati ad aumentare la mobilitazione di finanziamenti internazionali per il clima. Invitano gli altri paesi sviluppati ad aumentare i loro contributi, nell’ambito dell’obiettivo sottoscritto collettivamente dai paesi sviluppati di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 fino al 2025. Definita poi la posizione dell’UE per quanto riguarda sia la cooperazione volontaria prevista dall’articolo 6, che stabilisce regole per i mercati internazionali del CO2, consentendo ai paesi di scambiare riduzioni delle emissioni, sia le scadenze comuni per gli impegni di riduzione delle emissioni inclusi negli NDC di ciascun paese.

Il Consiglio UE ha espresso, ai fini del raggiungimento di un consenso a Glasgow, la propria preferenza per una scadenza comune di cinque anni per tutti gli NDC delle parti, che sarà applicata dall’UE a decorrere dal 2031 solo nel caso in cui tutte le parti siano tenute a farlo, e che dovrà essere applicata in modo coerente con la normativa europea sul clima. Il Consiglio UE ha sottolineato il forte sostegno dell’UE e dei suoi Stati membri all’attuazione urgente e ambiziosa dell’accordo di Parigi e si impegna ad accelerare ulteriormente gli sforzi in linea con il Green Deal europeo, gli ambiziosi obiettivi ecologici e gli obiettivi di spesa per il clima perseguiti attraverso il Programma pluriennale dell’UE quadro finanziario, compresi i suoi strumenti di politica esterna, e Next Generation EU.

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