A volte ritornano: il caso della foca monaca mediterranea
Dopo secoli di caccia intensa, torna finalmente ad essere avvistato nei nostri mari uno degli animali un tempo più diffusi, che Omero chiamava “la bella figlia del mare”.
Fino a pochi anni fa era una specie che sembrava condannata all’estinzione. Classificata come “critically endangered” nella Lista rossa dell’UICN – l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, non era più avvistata nei mari italiani, che invece un tempo vedevano la sua presenza un po’ ovunque, come ricordano i tanti toponimi lungo la nostra penisola o le isole: “grotta del bue marino” o “cala del vitello di mare” sono, ad esempio, appellativi dovuti alla sua notevole mole. Ma era anche in via di forte rarefazione in tutti gli altri suoi domicili più conosciuti: le isole greche, le coste della Turchia, le coste atlantiche di Marocco e Mauritania, le Canarie, le Azzorre e a Madeira.
Parliamo della foca monaca mediterranea (Monachus monachus Hermann, 1779).
Omero nell’Odissea la chiamava “la bella figlia del mare”, era amata da Poseidone e sacra ad Apollo, ma ciò non ha impedito che, nel corso dei secoli, la foca monaca fosse intensamente cacciata per il grasso, la pelle o la carne, e perché vista come concorrente nella pesca. A dura prova l’hanno messa anche, nel secolo scorso, gli effetti dell’impoverimento delle risorse ittiche causato dalla pesca intensiva, le catture accidentali nelle reti e l’uccisione diretta, specialmente in Grecia.
Come tutti i suoi consimili, la foca monaca è un pinnipede che passa buona parte della sua vita in mare per nutrirsi. Si accoppia in mare, ma è legata alla terra ferma per il parto e l’allattamento. La femmina partorisce un solo cucciolo, tra settembre e dicembre: sceglie grotte ben riparate, anche se una volta preferiva le spiagge, dove poteva anche riposarsi e compiere ogni anno la muta del pelame, cosa oggi quasi impossibile a causa della sempre più intensa pressione dell’uomo.
L’animale resta così ancora oggi un po’ misterioso e della sua vita si sa abbastanza poco, anche se di recente è stato rilevato un suo particolare comportamento per riposarsi: lunghi cicli di sonno in cui l’animale si immerge per poi risalire regolarmente in superficie in uno stato di dormiveglia.
Proprio per l’elusività a cui si accennava non è possibile stimare quale potrebbe essere oggi la sua effettiva popolazione: gli esperti parlano di un migliaio di esemplari in tutto il Mediterraneo, compresi – e monitorati grazie a progetti specifici di protezione – circa trecento in Mauritania ed una quarantina a Madeira.
Quello che però è emerso con sempre più evidenza negli ultimi anni è l’aumento degli avvistamenti di foche mediterranee nei nostri mari, perché sono in parte diminuite le cause che ne avevano decretato il declino nel XX secolo e perché c’è una maggiore consapevolezza generale, grazie a progetti di conservazione sviluppati un po’ ovunque nella nostra penisola.
In Italia, infatti, dalle isole dell’Arcipelago toscano alle Egadi, dalle coste della Sardegna a quelle della Sicilia, dalla Calabria ionica al Salento fino all’Adriatico settentrionale, gli avvistamenti si ripetono nel tempo, e questo sembrerebbe confermare una leggera ripresa. Ne è convinto il GFM – Gruppo Foca Monaca APS, già attivo negli anni ’80 con un gruppo di esperti nell’ambito del WWF Italia, che – a partire dal 2021 – ha avviato con l’associazione del panda una serie di progetti di sensibilizzazione e monitoraggio per promuovere la conservazione del pinnipede marino.
Innanzitutto è stato messo a punto un decalogo rivolto ai turisti che dovessero imbattersi in una foca monaca su una spiaggia del Mediterraneo, evento che non è più un’assoluta rarità: è possibile scaricarlo a questo link. Gli esperti comunque raccomandano di non avvicinare l’animale sia a terra che in mare, in particolare anche nel caso di cuccioli, spesso solo apparentemente spiaggiati, perché un qualsiasi contatto potrebbe compromettere il rapporto del piccolo con la madre, la quale può continuare ad accudirlo nelle ore notturne.
Sono poi partite diverse iniziative ad opera del GFM: una ha visto la realizzazione da parte dell’artista di Tarquinia Giulio Cosimi Bagada di alcune statue che rappresentano una mamma foca monaca che bacia e protegge il suo piccolo. Le statue sono state poste, anno dopo anno, in luoghi simbolo dove la foca era storicamente presente e sta tornando: nell’isola di Marettimo, nell’isola di Vis, in Croazia, a Gibilterra, a Crotone, nell’isola greca di Othoni. Una singolare azione di sensibilizzazione rivolta ai frequentatori del Mediterraneo.
Un’altra importante iniziativa ha visto un accordo tra GFM e WWF Italia, che già negli anni ’90 aveva lanciato la campagna “Chi l’ha vista?”.
È stato elaborato un importante progetto di monitoraggio ed educazione, Care4Seals, nel cui ambito è stata stilata una convenzione (Spot the monk!) con la professoressa Elena Valsecchi dell’Università di Milano Biococca. Questa ricercatrice ha messo a punto un innovativo metodo non invasivo che consente di rilevare la presenza della foca attraverso il suo DNA, presente nell’acqua marina. Raccogliendo campioni di acqua nelle aree in cui si ritiene possa vivere il pinnipede ed analizzandone il DNA ambientale è possibile confermarne la presenza anche senza specifici avvistamenti. Ciò ha permesso di appurare la frequentazione del “bue marino” in diverse zone, come attorno all’isola di Caprera, nelle isole Pelagie, nell’Arcipelago Toscano, fin nelle isole Baleari, ed ha messo in moto – nella modalità che oggi chiamiamo Citizen science – tanti volontari, pescatori compresi, che hanno provveduto (e continuano a provvedere) alla raccolta di campioni d’acqua marina in molte parti d’Italia, delineando pian piano una mappa dei luoghi in cui l’animale ancora vive e la sua possibile distribuzione.
Il progetto ha inoltre previsto cicli di formazione, in presenza e online, in cui Emanuele Coppola, fondatore del GFM, presidente ed esperto internazionale, e Sofia Bonicalza, biologa responsabile del Gruppo giovanile, hanno condiviso la loro grande passione per le foche monache e la conoscenza di biologia, etologia ed ecologia di questa specie. Questi eventi, assieme a dei corsi estivi alla Maddalena ed all’Elba per apprendere le tecniche di monitoraggio e le tecniche di apnea, hanno raggiunto quasi 400 partecipanti di enti diversi, dai Carabinieri Forestali alla Guardia costiera ausiliaria, da associazioni di pescatori a enti di conservazione e di whale watching, rappresentanti di aree marine protette, numerosi diving della Community WWF SUB, e molti privati. La formazione ha permesso ai partecipanti di acquisire importanti competenze, contribuire alla raccolta dati, e creare una rete di monitoraggio dove ognuno può contribuire, nel proprio ambito ma in un fronte unito, agli obiettivi di tutela della specie.
Sì, l’estate è ormai finita, ma d’ora in poi, quando andremo al mare, anche fuori stagione, sapendo che la foca monaca sta tornando, osserveremo la distesa azzurra in un modo diverso, con la consapevolezza che le sorprese della natura non finiscono mai, e che dobbiamo cercare di vivere in armonia con lei.