Tra Trevi e Piglio, lungo la strada del “Cesanese”
Storia, natura, cultura ed enogastronomia: il poker d’assi di questa zona di confine tra le provincie di Roma e Frosinone, nell’alta Ciociaria e lungo il Parco regionale dei Monti Simbruini
di Daniela Molina
Un tour tra monti e valli bucoliche, grotte e boschi, torrenti e cascate per chi ama fare lunghe camminate nella natura osservando di tanto in tanto animali selvatici che spuntano da nascondigli inaspettati. I sentieri sono affascinanti e misteriosi, e si intersecano spesso con il Cammino di San Benedetto, che comprende anche questa zona. Una zona della quale fanno parte diversi Comuni del Lazio e che offre anche siti archeologici, monasteri, eremi, castelli e borghi medievali, spesso arroccati in cima a speroni rocciosi o declinanti lungo verdi colline circondate da monti. Oltre a ciò che offre la natura selvaggia, abbiamo anche ciò che si origina dal lavoro dell’uomo e dal suo connubio con l’ambiente in cui vive. Nella zona che va da Trevi a Piglio, passando per gli altipiani di Arcinazzo, si possono così incontrare uliveti e vigneti, greggi di pecore e caprette che corrono lungo le sponde erbose dei torrenti, vacche e bufale che pascolano sui verdi pendii, cavalli e puledri, asini e muli.
I prodotti tipici locali sono dunque strettamente connessi alle attività umane svolte in sintonia con la natura di queste terre. Per questa ragione nell’area del Comune di Piglio si trovano degli olii di oliva di varie qualità, anche se non tutti eccellenti; ma un olio extra vergine di oliva di buona qualità è quello che proviene dalle zone attigue, dei monti Ernici (per esempio l’olio Ernico, un po’ amaro e piccante, assolutamente biologico).
Ottimi i prodotti caseari: particolarmente leggere e saporite le ricotte, le provole e il famoso pecorino. Ricordiamo che possono provenire dal latte di pecora, di capra, di vacca o di bufala. I formaggi, con il vino, sono probabilmente i prodotti più tipici di questa zona. Se giriamo per le vie di Piglio saremo sorpresi anche dall’alto numero di macellerie, tutte con carne rigorosamente locale. La caratteristica di questa carne particolarmente saporita va ricercata nel nutrimento degli animali: l’erba prelibata che offrono questi pascoli e la possibilità di camminare in pendio forniscono agli animali una carne molto muscolosa, nerboruta e ben irrorata. Non tutti però apprezzano questo tipo di carne perché – proprio per lo stesso motivo – risulta un po’ dura alla masticazione. Ci sono delle tecniche per ammorbidirla: una consiste nella battitura (per rompere le nervature), un’altra nella frollatura (che però può avere effetti collaterali dannosi per il nostro sistema gastroenterico se non realizzata alla perfezione). Oltre alle carni di animali allevati, vista la zona, non possono mancare le carni di animali selvatici, come ad esempio il cinghiale.
Se ci fermiamo a mangiare in uno dei graziosi ristoranti degli Altipiani di Arcinazzo, troveremo senz’altro nel menu un piatto di pappardelle al cinghiale. Pappardelle rigorosamente fatte in casa perché un altro prodotto tipico di questa zona è proprio la pasta casareccia. In particolare, noi ci siamo fermati in una delle più antiche ed apprezzate trattorie degli Altipiani, nota per la genuinità della cucina, tutta con prodotti tipici locali. Si tratta del Ristorante “da Silvana” situato fin dall’antichità in un punto strategico: il crocevia tra la via per Piglio e quelle per Trevi, Anagni e gli altri famosi paesi della zona. Lì abbiamo scoperto altre prelibatezze gastronomiche e soprattutto antiche ricette originali. Le pappardelle casarecce al cinghiale erano le più saporite mai assaggiate: un sugo leggermente piccante e fatto con la vera polpa di cinghiale (non si trattava cioè di un sugo precotto o di un estratto con chissà quali parti del cinghiale conservate in barattolo). Il ristorante offriva poi un assortimento di pasta fatta in casa: oltre a gnocchi e fettuccine, segnaliamo i ravioloni di ricotta di bufala locale con scorza di limone conditi con burro, salvia e pecorino (sempre locali). Un piatto veramente degno di nota per la sua originalità e sorprendente leggerezza.
Ci sono anche i rigatoni fatti in casa, trafilati al bronzo uno ad uno. La proprietaria (figlia della signora Silvana, che l’anno scorso ci ha lasciato) spiegava che i rigatoni devono cuocere solo 2 minuti ma che, poiché sono fatti in casa, restano morbidi e gli avventori – abituati ai rigatoni rigidi dell’industria – credono siano scotti. Oggigiorno infatti in troppi si stanno disabituando al cibo genuino e di qualità e non si accorgono della differenza con quello inscatolato, conservato, precotto e industriale. Tra i prodotti tipici si trova anche una vasta scelta di formaggi del luogo e il famoso prosciutto di Guarcino, un prosciutto di eccelsa qualità, stagionato almeno 16 mesi e lavorato con metodi artigianali tradizionali che prevedono l’uso, per insaporirlo, del famoso vino locale e di varie spezie. Parlando di spezie e aromi, non dimentichiamoci che questa zona è ricca di erbe e proprio queste – considerando l’alto numero di monasteri qui esistenti – permettono ai monaci di fare degli amari e degli elisir dai mille sapori. Proprio il ristorante “da Silvana” ha un menu di quattro pagine solo per questi ultimi.
Da generazioni e generazioni la trattoria permette ai suoi avventori di assaggiare i vini del Lazio e ovviamente dei produttori del Cesanese. Dispone di un ampio assortimento, suddiviso per livelli qualitativi e fasce di prezzo. Il punto è dare la possibilità ai clienti di assaggiare i vini provenienti dalle case vinicole della Strada del Cesanese, così possiamo partire da un vino rosso sciolto “della casa” per arrivare ai più profumati vini imbottigliati, con vari anni di invecchiamento. Oltre al vino, rileviamo che anche l’acqua servita in bottiglia a tavola proviene dai dintorni: è quella della limpida sorgente di Guarcino (la fonte Filette) ben nota per le sue proprietà oligominerali. La proprietaria ci tiene a ribadire che offre prodotti locali per farli conoscere e permettere anche alla gente del posto di far conoscere la propria produzione. A questo riguardo, ci dice anche che come contorno si può ad esempio scegliere una particolare cicoria che riesce a scovare solo una vecchia signora del paese e che gliela fornisce dopo averla raccolta nella campagna circostante. Dove nessuno lo sa: è uno dei segreti della buona cucina del posto. Infine, un altro segreto: quello della ricetta della bisnonna, tramandata per generazioni, per un dolce dessert al cioccolato che non ha nome e che chiamano “tortino” giusto per presentarlo ai clienti: è delizioso, caldo, leggero, morbido e fragrante. E uno tira l’altro.
Dopo aver mangiato ed assaggiato i vini locali, vi consigliamo di andare a stendervi in un luogo incantevole: prendete la strada in direzione Jenne ma dopo qualche chilometro fermatevi dove vedete il cartello che indica le cascate di Trevi (per l’esattezza si tratta delle cascate di Comunacque): si scende un sentiero, si passa un ponticello e ci si trova alla confluenza dei fiumi Simbrivio e Aniene (che in quel punto sono solo torrenti dalle fresche e limpidissime acque). Dopo 200 metri troverete le cascate che tra l’altro sono accanto a un sito archeologico purtroppo lasciato all’abbandono. Il paesaggio sembra quello delle fiabe. Troverete spiaggette e prati fioriti dove sarà piacevole rilassarsi, all’ombra di un albero o al tepore del sole. E, come si suol dire, “starete nella grazia di Dio”: non per nulla questa zona è meta di pellegrinaggi e appartiene al Cammino di San Benedetto.