I vini de-alcolizzati: una soluzione. Forse…
Al MASAF è in gestazione il decreto ministeriale che dovrà regolamentarne la produzione
Il dibattito è vivace fra gli addetti ai lavori, mentre è in corso la gestazione del decreto ministeriale che dovrà regolamentare la produzione di vini a gradazione alcolica bassissima o nulla (i cosiddetti “No-Lo”, come dicono quelli che hanno perso dimestichezza con la lingua italiana, ove “lo” sta per “low”, bassa).
Anche se per qualcuno sembra una parolaccia, il vino senza o con pochissimo alcol è indubbiamente un prodotto artificiale, poiché l’etanolo nasce nel vino dalla fermentazione naturale del mosto. Tuttavia, una parte consistente dell’imprenditoria vinicola italiana sembra decisa a non perdere la possibilità di inserirsi frettolosamente in questa fetta di mercato perché in alcuni paesi – europei e non – la domanda sembra già promettente (soprattutto quella giovanile) e lascia intravedere uno sbocco futuro in più per eventuali crisi da eccedenze produttive.
Che tipo di bevanda sarà questo prodotto
Ma nessuno si nasconde il fatto che con la de-alcolizzazione non si elimina solo l’alcol: insieme all’etanolo, il vino inevitabilmente perderà una quantità importante di altre componenti, come gli aromi naturali dell’uva che ne generano la maggior parte della gradevolezza alla degustazione. (Non escluderei che questa perdita di personalità olfattiva sia all’origine della contrarietà del ministro Lollobrigida a consentire la denominazione “vino” per i prodotti No-Lo. Intanto, l’operazione è già esclusa – nel decreto in gestazione – per i vini a Denominazione di Origine).
Il fenomeno organolettico è già stato studiato a livello di degustazione scientifica: con la riduzione della concentrazione di alcol si ha sempre una perdita di composti volatili direttamente proporzionale al grado di de-alcolizzazione. Si perdono soprattutto gli esteri, responsabili degli aromi fruttati, fino alla perdita totale delle molecole volatili.
Inoltre, le modifiche del profilo sensoriale sono dovute non solo alla perdita di molecole aromatiche, ma anche dell’etanolo stesso, perché l’alcol contribuisce alla percezione dell’amaro, della dolcezza e del corpo nel vino: riducendo il livello alcolico, si riduce la sensazione di rotondità in bocca. E ai livelli di alcol più bassi l’astringenza e l’acidità diventano dominanti, soprattutto nei vini rossi ricchi di tannini.
Insomma, andremo a offrire al consumatore “vini” de-alcolizzati meno equilibrati e più aggressivi.
Anche il processo produttivo non è senza problemi
Come si fa: la distillazione e le tecniche a membrana.
La distillazione (sotto vuoto) separa l’etanolo dal vino grazie alla sua diversa temperatura di ebollizione rispetto all’acqua del vino. Quando questa distillazione avviene a pressione più bassa della pressione atmosferica, la temperatura di ebollizione dell’etanolo si raggiunge a 40 gradi in modo da ridurre (ma non eliminare) l’impatto della temperatura sugli altri componenti del vino.
Le tecniche a membrana: la separazione dell’etanolo si ottiene con filtrazioni a livello molecolare attraverso membrane semipermeabili porose, che consentono di selezionare le molecole nelle diverse frazioni ottenute. Ma non esistono ancora membrane così selettive dell’etanolo che evitino il passaggio anche di altre molecole del vino, in particolare le molecole volatili aromatiche.
Un ulteriore svantaggio riguarda la stabilità microbiologica: l’etanolo è il miglior conservante possibile, e contribuisce naturalmente alla stabilità microbiologica del vino, per cui ridurne il contenuto aumenta il rischio di contaminazione da parte di lieviti e batteri, e rende problematica la stabilità a lungo termine del prodotto “No-Lo”.
Un ulteriore problema: chi de-alcolizza il vino produce alcol
Qual è il trattamento fiscale cui si dovrà sottoporre l’alcol ricavato dalla de-alcolizzazione del vino?
In estrema sintesi, la mate4ria del contendere è questa: gli imprenditori vinicoli decisi a percorrere la strada della de-alcolizzazione sostengono che l’alcol ricavato dall’operazione dovrebbe essere trattato come rifiuto, e quindi esentato dalla intricatissima fiscalizzazione relativa alla produzione di alcol, la cui pesantezza – sempre secondo gli imprenditori vinicolo – renderebbe anti-economica tutta questa filiera innovativa e metterebbe fuori mercato i prodotti No-Lo. In questa direzione si sta battendo, per esempio, l’Unione Italiana Vini (UIV), con pressioni intese ad orientare il decreto ministeriale.
Ben diversa la posizione assunta dagli imprenditori della distillazione, i produttori di alcoli e acquaviti, i quali – rappresentati da AssoDistil – sottolineano l’insopportabile pericolosità di una massa di alcole così prodotta, lasciata senza alcun controllo fiscale, disponibile per operazioni a forte rischio di contrabbando.
Intanto, esiste già da ottobre uno schema di decreto approvato il 15 ottobre dal Consiglio dei Ministri che nel capitolo “De-alcolazione del vino” prevede (articolo 33-ter, comma 1) che “l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli può autorizzare i soggetti produttori di vino, che operano in regime di deposito fiscale, ad effettuare trattamenti del vino finalizzati esclusivamente a ridurne il titolo alcolometrico (…) purché il quantitativo annuo di alcole etilico, che si ritiene possa essere ottenuto a seguito dei predetti trattamenti, sia non superiore a 50 ettolitri di alcole anidro”. Inoltre (comma 2) “l’alcole etilico ottenuto a seguito delle lavorazioni di cui al comma 1 è sottoposto ad accisa”, e “nei depositi in cui il soggetto è autorizzato a effettuare i trattamenti di cui al comma 1, l’alcole etilico ottenuto a seguito dei medesimi trattamenti è raccolto in un recipiente collettore, sigillato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, posto in diretta e stabile comunicazione con gli impianti in cui avvengono i trattamenti; nei medesimi depositi sono predisposte idonee attrezzature per la determinazione dei quantitativi di vino destinati a subire i trattamenti di cui al comma 1 e per l’accertamento diretto dell’alcole etilico ottenuto”.
Ma nel decreto ministeriale attualmente in gestazione al MASAF è precisato che “Il processo produttivo dovrà avvenire in strutture dedicate, fisicamente separate da quelle utilizzate per la produzione vitivinicola, con registri digitalizzati e licenze autorizzative”.