Spreco, fame, futuro: idee, pensieri e possibili soluzioni
C’è sprecozero.it, una campagna permanente di sensibilizzazione in Italia sul tema dello spreco alimentare promossa da Last Minute Market, realizzata in stretta partnership con il Ministero dell’Ambiente e c’è il portale Fao dedicato al Food Loss e Food Waste. Ci sono centinaia di articoli su questo tema scritti da ambientalisti, ma anche da economisti ed esperti di finanza visto il suo grande valore economico. Ci sono Associazioni che sulla lotta allo spreco alimentare hanno fondato i propri pilastri e motivi di appartenenza, come Slow Food fa da oltre trent’anni con azioni educative e di sensibilizzazione, oppure la giovane nata Recup.org che ridistribuisce attivamente gli avanzi dei mercati. Ci sono realtà che ne hanno fatto un motivo di business e di guadagno come accade con le app quali ‘To good To go’ per esempio.
Ormai sono molti i paladini che lottano contro ciò che può essere considerato uno dei più dannosi nemici del benessere del pianeta, soprattutto dei suoi abitanti: lo spreco alimentare. I dati diffusi dalla Fao nel 2021 riportavano in 1.6 miliardi le tonnellate di cibo sprecate ogni anno pari circa ad un terzo della produzione alimentare globale. Gli sprechi alimentari. sempre in base al rapporto 2021, sono responsabili del 6% delle emissioni di gas serra, della dispersione di 253 Km3 di acqua potabile solo in agricoltura, escludendo quindi l’allevamento. Impressionante anche il dato che individua in 1.4 milioni di ettari di terreno coltivabile la superficie che viene utilizzata per produrre cibo che non verrà mai mangiato, ovvero il 28% della superficie terrestre destinata all’agricoltura. Spreco alimentare che è impoverimento, che è Food Loss, cioè perdita nei Paesi a basso reddito, che avviene nelle prime fasi della catena alimentare per il 30%, a causa soprattutto di mancanza di tecnologie e strumenti per una produzione e una conservazione efficiente dei prodotti alimentari e solo per il 14% a livello del consumatore e sempre per incapacità a conservare. Questo meccanismo diviene Food Waste, spreco, nei paesi ad alto reddito dove il 56% degli sprechi si suddivide in un 35% prodotto da consumatori e commercianti e un 21% creato da tutte le altre fasi precedenti che però molto spesso sono scelte dettate da fluttuazioni del mercato e non profittabilità, come accade quando il costo di raccolta e trasporto delle arance diviene superiore al prezzo che verrebbero pagate e conviene buttarle via.
La pandemia ha cambiato le cose? In Italia, se Coldiretti nel settembre 2021 aveva diffuso segnali positivi che riportavano come più di 1 italiano su 2 (54%) dichiarava di aver diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando strategie di risparmio, dal ritorno ai fornelli degli avanzi grazie a ricette del riciclo, ad una maggiore attenzione alla data di scadenza, fino alla spesa a chilometri zero con la scelta di prodotti più freschi che quindi durano di più, lo scorso 25 Gennaio 2022 sempre Coldiretti invece lanciava l’allarme rispetto agli sprechi di cibo invenduto, non consumato, nella catena della ristorazione i cui coperti restano tristemente vuoti a causa della diffusione della contagiosa variante Omicron.
Sul fronte GDO, Federdistribuzione nel 2021 dichiarava di effettuare azioni di redistribuzione delle eccedenze e che il 58% dei propri associati lo facesse sistematicamente nella totalità dei propri punti vendita mentre la quasi totalità, il 91% delle insegne, offrisse in sconto i prodotti in scadenza, ed il 79% effettua campagne informative al pubblico contro lo spreco alimentare. Intanto la rete Metro affermava di aver rafforzato la collaborazione con la Fondazione Banco Alimentare Onlus per distribuire le eccedenze.
Ma quanto cibo è realmente non commestibile e qual è la soglia fisiologica di uno scarto alimentare? Secondo uno studio prodotto da Fondazione Barilla a questo interrogativo “non c’è una risposta chiara. Gli scarti costituiscono per lo più quelle parti di cibo che non possono essere mangiate, come le ossa della carne, i gusci d’uovo o la buccia dell’ananas. Tuttavia, ci sono delle differenze culturali rilevanti nell’interpretazione della commestibilità di certi cibi, per cui non c’è una risposta univoca su quanto cibo commestibile venga di fatto sprecato. Molti ricercatori hanno quindi deciso di includere nelle stime tutto il cibo sprecato, che sia o meno considerato edibile.”
Con una nota di ottimismo, Andrea Segrè, professore di Politica agraria dell’Università di Bologna, uno dei massimi esperti in fatto di spreco alimentare, ci rassicura che limitare lo spreco non solo è possibile, ma gli accorgimenti per farlo sarebbero alla portata di tutti. Secondo il Wwf, se fosse possibile recuperare tutto il cibo che sprechiamo, si potrebbero sfamare quasi 2 miliardi di persone in tutto il mondo, il che – al di là dei problemi logistici e di economia politica – significherebbe poter soddisfare tutti i bisogni presenti e futuri della popolazione mondiale.