Chi inquina, effettivamente paga?
Un rapporto pubblicato dall’Ufficio studi del Senato evidenzia che la tassa sull’inquinamento finisce per essere pagata soprattutto dai consumatori invece che dalle industrie
Un nuovo studio pubblicato dall’ufficio valutazione impatto del Senato della Repubblica italiana accende i riflettori su una delle questioni più controverse con cui si sono confrontate le varie politiche ambientali di tutti i Paesi del Mondo sin dalla prima Conferenza di Rio, la riunione antesignana degli incontri internazionali a protezione del clima.
In quel Summit della Terra venne infatti definito il principio secondo cui chi avesse inquinato si sarebbe dovuto fare carico dei danni creati da questo comportamento, appunto pagando.
L’intenzione era quello di scoraggiare alcune scelte rispetto ad altre che diventavano più vantaggiose non solo per coscienza green, ma anche sotto il profilo economico seguendo la logica capitalistica della massimizzazione del profitto. Ovviamente spettava poi ai legislatori nazionali stabilire normative ed agevolazioni in tal senso.
Ma l’obiettivo è stato centrato?
Secondo il rapporto diffuso dalla seconda Camera della Repubblica, potremmo dire di no.
Lo studio ha analizzato i dati disponibili per il 2015, individuando per questo anno il costo delle tasse ambientali pagate da chi risiedeva nel nostro Paese.
Fra accise, imposte sui veicoli, tasse sul rumore e sull’inquinamento lo Stato ha incassato 55,1 miliardi di euro.
Dopo questa analisi, il rapporto si è concentrato quindi sul fatto che questa cifra fosse in grado di compensare o meno i danni prodotti.
Un primo conto – limitato per il momento alle sole emissioni in atmosfera e al rumore dei trasporti – ha visto le famiglie produrre, danni sanitari e ambientali per 16,6 miliardi, seguite dall’industria (13,9 miliardi) e dall’agricoltura (10,9). Va però evidenziato che esiste un forte squilibrio tra chi inquina e chi paga: le famiglie ad esempio hanno pagato il 70% in più rispetto ai danni creati, le imprese il 26% in meno. Il record degli sconti, 93%, va all’agricoltura.
Una distorsione che porta di fatto a trasformare il precetto da chi inquina paga al consumatore paga.
A questo va aggiunto che secondo una recente indagine sul gettito delle imposte ambientali l’Istat ha evidenziato che solo l’1% circa di questo gettito è destinato a finanziare spese per la protezione dell’ambiente.
Questo perché è diventata prassi che lo Stato italiano incrementi il livello di alcune tasse “ambientali” (tipicamente le accise sui carburanti) per destinare le maggiori entrate al finanziamento di spese non strettamente green come terremoti, missioni internazionali di pace e altre emergenze di finanza pubblica.
Tutte spese che costituiscono certamente costi che lo Stato deve coprire, e per cui lo Stato sceglie, fra varie alternative, di utilizzare un’imposta ritenuta ambientale dallo Stato stesso e che dovrebbe probabilmente coprire invece le spese per una protezione ecosostenibile più efficace del territorio.
Cristiana Persia