Il Parlamento va a caccia di una nuova legge per il tartufo
E’ fra i prodotti più amati dai palati gourmet, elemento principe di alcuni dei piatti più antichi e ricercati della tradizione culinaria italiana, uno dei frutti del nostro territorio che più ci identifica all’estero: è sua maestà il tartufo. Che sia bianco o nero viene raccolto, anzi per usare il termine più preciso cavato dal terreno da un esercito di quasi 80 mila persone che – muniti di regolare tesserino – esercitano questa attività alla ricerca continua di questo prezioso e profumato tubero.
Con il proposito di regolamentare un mercato che vale quasi 160 milioni l’anno è in elaborazione in Parlamento un nuovo impianto normativo per compensare le carenze della legge 752 del 1985, considerata da tutti i rappresentanti di filiera non più idonea a tutelare il settore.
In un’audizione convocata a Montecitorio i principali esperti della categoria hanno quindi cercato di evidenziare le problematicità con cui si confrontano oggi i Tartufai, i ricercatori e gli enti posti a tutela di questa grande risorsa del territorio.
E’ stata richiesta l’attenzione del Legislatore soprattutto sulla necessità di trovare disposizioni idonee per la valorizzazione del tartufo nazionale, la cui raccolta e allevamento sono stati profondamente compromessi a partire dagli anni ‘60 soprattutto a seguito della gigantesca urbanizzazione che ha stravolto il territorio, sottraendo – in particolar modo al tartufo bianco, specie selvatica per eccellenza – buona parte delle aree ad esso vocate.
A questo si aggiunge la scarsa preparazione di tutti quegli operatori professionali (agronomi o vivaisti) che potrebbero invece implementare le produzioni coltivate, anche attraverso la predisposizione di PSR mirati e tutelare meglio le specie naturali, attraverso precise disposizioni di filiera. Un’inadeguatezza che incide direttamente sui volumi della nostra tartuficultura, che nonostante i tanti nuovi impianti, spesso non riesce ad ottenere i risultati voluti, con grande dispersione di investimenti e lavoro di chi poi materialmente coltiva questi prodotti.
Un altro tema su cui si chiede un indispensabile impegno è legato all’implementazione della Ricerca scientifica su questo prodotto. L’assoluta mancanza di fondi a questo proposito determina oggi non solo la fuga dei più esperti all’estero, ma rischia anche di compromettere profondamente questa risorsa, considerata la quasi totale assenza di strumenti scientifici a sua salvaguardia.
E’ stato poi fatto notare che il tartufo, soprattutto quello più pregiato, può arrivare a quotazioni che superano tranquillamente i 300 euro al chilo generando per i raccoglitori proventi che sfuggono quasi completamente al fisco. Redditi addizionali – per molti fondamentali per continuare a vivere in territori che non offrono grandi altre alternative – che , secondo gli esperti auditi, bisognerebbe far emergere attraverso strumenti fiscali idonei a favorire, come avviene negli altri Paesi Ue competitor , una tassazione che permetta uno sviluppo dell’attività svolta. Un’Iva ridotta e delle compensazioni sul montante dichiarato probabilmente aiuterebbe da una parte la legalizzazione della filiera e dall’altra la sua competitività sui mercati internazionali, permettendo così al settore di recuperare parte di quella compressione (quasi il 30%) che ha subito nel corso di questi anni.
Cristiana Persia