giovedì, Settembre 19, 2024
Arte e Cultura

Un gioiello poco conosciuto: il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali

La musica è il linguaggio delle emozioni. È questo lo spirito che anima un luogo veramente unico nel suo genere, che quest’anno celebra i 50 anni dalla sua fondazione: il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali.

Il museo si trova a Roma, all’interno della Palazzina Samoggia (la ex Caserma Principe di Piemonte), circondato da un’area verde su cui sorgono i resti archeologici del Palazzo Imperiale (Sessorio), dell’Anfiteatro Castrense e del Circo di Eliogabalo e a fianco della basilica di Santa Croce in Gerusalemme. 

Ospita oltre 2.500 pezzi, alcuni dei quali di rara preziosità, e raccoglie una selezione di strumenti popolari di tutto il mondo e di strumenti-giocattolo. Tra i pezzi più particolari  ci sono il primo pianoforte della storia, la celebre Arpa Barberini, una tromba del 1461, il cembalo tedesco più antico del mondo, due rarissimi pianoforti rettangolari del XVIII secolo e uno strumento costruito e dipinto da Giacomo Balla, che lui stesso denominò “Ciac-ciac”.

Al suo interno è inoltre allestito il salotto-studio del musicista e compositore Giovanni Sgambati (1841-1914), che originariamente si trovava in Piazza di Spagna e che per decenni fu frequentato da famosi musicisti e artisti come Gabriele D’Annunzio, Richard Wagner e Franz Liszt, oltre che dagli scultori Ezechiel ed Ettore Ximenes. 

C’è una persona a cui si deve la raccolta di molti degli strumenti antichi che si possono ammirare oggi nel museo: è il tenore Gennaro Evangelista (Evan) Gorga, nato nel 1865 e conosciuto per aver interpretato con successo trionfale il ruolo di Rodolfo nella prima rappresentazione assoluta de La bohème di Puccini, al Teatro Regio di Torino nel 1896. 

L’artista, abbandonata una carriera musicale che si prospettava molto promettente, dedicò ogni sua risorsa al collezionismo di antichità di ogni genere, dalle armi ai fossili, ai giocattoli, ad arnesi di arti e mestieri, agli attrezzi chirurgici, ai bronzi, alle terracotte, con particolare riguardo alla raccolta di strumenti musicali di ogni epoca e provenienza.  

Questa sorta di bulimia collezionistica (arrivò ad affittare 10 appartamenti nel centro di Roma per accogliere i suoi 150.000 pezzi), però, lo ridusse ben presto sul lastrico, finché non intervenne il Ministero della Pubblica Istruzione che prima pose un vincolo e poi, nel 1929, sequestrò – per tutelarlo -55555555555555555555555555555555555555555 tutto il prezioso patrimonio dell’artista, strumenti musicali in primis

Dopo la guerra, nel 1949, lo Stato italiano ed il tenore giunsero ad un accordo: in cambio di un vitalizio e del pagamento dei debiti, ma anche di dieci borse di studio per studenti di canto, Gorga accettò di cedere tutte le sue collezioni allo Stato. Ma fu solo nel 1964 che una prima esposizione della collezione di strumenti musicali venne allestita nella sede museale attuale: un’esposizione che Evan non riuscì a vedere, essendo venuto a mancare nel 1957.

Negli anni successivi la collezione si sviluppò grazie al tenace impegno della sua prima direttrice, Luisa Cervelli, che in qualità di curatrice della collezione di strumenti musicali di Gorga ne curò amorevolmente i beni, li restaurò, li catalogò ed ottenne l’istituzione di un vero e proprio museo, a cui nel corso del tempo furono aggiunti pezzi unici come la seicentesca arpa Barberini o il primo fortepiano (precursore del pianoforte), inventato da Bartolomeo Cristofori nel 1722: il più antico e integro esistente.

I pezzi esposti al museo permettono di fare un viaggio nel tempo lungo duemila anni, che dà modo di capire come si siano evoluti gli “attrezzi” inventati dall’uomo per trarne gradevoli suoni. 

Si parte dall’epoca antica, con un’esposizione di strumenti a fiato e a percussione in terracotta, metallo, osso: corni, fischietti, sonagli, crotali, sistri, tibie, campanelli; sono tutti oggetti provenienti dal mondo egizio, etrusco, greco e romano, databili a partire dal V-VI sec. a.C. fino al II-III sec. d.C. . : alcuni di questi, come corni fittili e fischietti, sono ancora funzionanti. Venivano usati per gli scopi più vari: alcuni nelle cerimonie religiose, altri per motivi pratici, altri per il divertimento di chi li suonava o li ascoltava, come racconta un intonaco proveniente dallo scavo di una casa di Lucus Feroniae (civiltà falisca) che rappresenta uno strumento a due corde a dir poco unico, il “bicordo”.

Continuando il viaggio attraverso la storia, ci si allunga verso il Medioevo ed il Rinascimento. Attraggono il visitatore un gruppo di rari “cornamuti torti”, realizzati nel ‘500 dal bavarese Jörg Weier, in antico chiamati “storte” e ora più noti come “cromormi”, in uso dalla fine del ‘400 fino al XVII secolo, ma molto interessanti sono anche altri strumenti a fiato come flauti, flauti traversi, piccoli corni e una tromba datata 1461. Per capire l’eccezionalità di questa collezione basti pensare che degli antichi flauti di legno traversi rinascimentali (due, in vetrina, sono ricoperti di pelle nera) restano al mondo non più di una sessantina di esemplari, e la metà sono conservati in Italia. 

I cornamuti torti di Jörg Weir, costruiti nel XVI sec
I cornamuti torti di Jörg Weir (XVI sec)

Oltre a pannelli che forniscono spiegazioni esaustive su cosa è esposto in ogni sala, aiutano chi vuol saperne di più su ciò che vede molti schermi interattivi, dai quali è possibile approfondire non solo origini e storia degli strumenti, ma anche sentirne il suono attraverso l’ascolto di brevi brani musicali. 

Si arriva così ad uno dei pezzi unici del museo: l’arpa Barberini. Si tratta di un pezzo a dir poco prezioso: non solo perché è perfettamente conservata, ma anche per l’altissima maestria artigianale con cui è stata realizzata e per l’originalità dei suoi elementi ornamentali. La colonna, finemente intagliata, ha infatti l’aspetto di un ricco candelabro barocco, decorato con sculture di legno dorato: in alto due putti sostengono lo stemma Barberini con le tre api e il Toson d’oro (ordine cavalleresco tra i più antichi e blasonati), mentre nella parte bassa ci sono altri due putti seguiti più sotto da due giovani vestiti con pelli di leone. 

L’arpa Barberini (XVII sec)

Costruita fra il 1632 e il 1633 a Roma dal liutaio e costruttore di arpe Geronimo Acciari su commissione del cardinale Antonio Barberini, l’arpa venne affidata da questi a Marco Marazzoli, apprezzato compositore, strumentista e cantore nato a Parma all’inizio del ‘600, soprannominato “Marco dell’Arpa” per il suo grande virtuosismo nell’uso dello strumento. La caratteristica musicale dell’arpa è rappresentata dall’armatura di tre ordini di corde: due ordini identici per le note della scala diatonica ed uno, al centro, che permette di suonare le alterazioni, rendendo così l’arpa uno strumento compiutamente cromatico prima ancora che venisse inventato, ad inizio ‘700, il sistema di pedali. 

Un altro prezioso strumento esposto, già appartenente alla collezione di Evan Gorga, è il clavicembalo di Hans Müller, realizzato nel 1537 a Lipsia; è considerato il più antico clavicembalo costruito oltralpe giunto fino a noi, l’unico esemplare cinquecentesco di area tedesca conosciuto ed anche il più antico ad essere dotato di una “tastiera traspositrice”: una tastiera, cioè, che può scorrere verso destra o sinistra permettendo così di alzare o abbassare di un tono l’accordatura. 

È possibile ammirare anche altri strumenti appartenenti al XVI-XVII secolo: tra questi, molti clavicembali finemente intarsiati e dipinti, un clavicordo, un raro salterio dall’astuccio decorato, le prime spinette a forma pentagonale e il cembalo “piegatorio” di Carlo Grimaldi, una sorta di clavicembalo portatile, smontabile in tre parti, adatto per le feste in campagna o per i balli patrizi nei giardini delle ville seicentesche. Un pezzo di grande importanza in quanto è l’unico esemplare di tal genere che sia stato costruito da un italiano. 

E poi anche strumenti a corda e ad arco come liuti, chitarre, chitarroni, mandolini milanesi e napoletani, viole da gamba e d’amore, violini, arpe, seguiti da strumenti a fiato come fagotti, ottavini, oboi, clarinetti. Tutti introducono ad una successiva, grande sala del museo, sempre legata a questo periodo, in cui è conservata una serie di organi, anche di dimensioni imponenti: tra questi, spicca un settecentesco organo positivo di scuola napoletana, che è esposto insieme ad un secondo organo concepito per essere posto al centro di un ambiente, come si può comprendere dagli sportelli frontali e posteriori finemente decorati con le figure delle Sante Lucia, Caterina d’Alessandria e dell’Annunciazione. 

Organo positivo di Scuola Napolatana (XVIII sec)

Di grande interesse anche il settore dedicato ai pianoforti. Alcuni pezzi unici sono vere e proprie opere d’arte, come il pianoforte verticale Pleyel, datato 1840, proveniente da palazzo Torlonia, interamente decorato a fregi dipinti in blu e verde, con la tastiera sostenuta da due angeli, quattro puttini in funzione di cariatide che sostengono colonnine decorate da festoni di fiori, uno stemma e altre decorazioni; o il piano-arpa, singolare opera (Parigi, 1830 ca) di Jean Chrètien Dietz.

Pianoforte verticale Pleyel (XIX sec)

La pergamena del tempo si srotola attraverso altre sale, in cui è possibile ascoltare, a richiesta, altre musiche collegate agli strumenti esposti: come è il caso della sala interamente dedicata agli strumenti utilizzati da una banda musicale ottocentesca, introdotta da una bella citazione (1966) di Chico Buarque De Hollanda: 

La luna piena

che s’era nascosta

si mostrò.

La mia città

si mise in festa

per vedere passare

la banda.

 

Degni di nota anche gli incredibili strumenti meccanici assemblati sempre tra il Sette/Ottocento: carrillon a ciondolo, scatole e tabacchiere musicali, strumenti a dischi e nastri perforati. Vera opera d’arte un teatrino con automi, costruito a Parigi nella metà del XIX secolo. 

L’ultima parte del museo è invece dedicata alla musica di oggi. Spiccano nelle sale quattro bassi elettrici concessi da Pablo Echaurren, noto collezionista di questo tipo di strumenti, che sono presentati in dialogo con gli straordinari strumenti della collezione Gorga, da cui il museo trae origine. 

Oltre alla ricchezza della collezione e alla preziosità dei pezzi esposti, una chicca speciale del museo è una grande vetrina su cui spicca l’insegna “Aperti per restauro”: al visitatore viene infatti data l’opportunità di vedere come si restaurano gli antichi strumenti musicali, per addentrarsi ancora di più nello straordinario mondo degli “oggetti per fare musica”. E i lavori non si fermano qui: non si fermano infatti né l’attività di rinnovamento dell’esposizione nè l’acquisizione di nuovi pezzi. Tra questi, il violino di Antonio Amati, liutaio cremonese del ‘500. 

Inoltre, grazie all’impegno della direttrice arch. Sonia Martone e dei suoi collaboratori, nell’auditorium del museo o nelle sue sale interne si svolge spesso un’attività concertistica di tutto rispetto: si è chiusa di recente, ad esempio, la rassegna “Resonare Fibris 2024”, che rientra nel progetto “Suoni ritrovati”: un’occasione unica per sentire suonare dal vivo alcuni degli strumenti più prestigiosi della collezione, come un organo del Settecento di scuola napoletana, che ha accompagnato una serata dedicata al Leopardi, o il clavicembalo Onofrio Guarracino (1651) e il Violone Simone Cimapane (Roma, 1685) utilizzati in un concerto. 

Il calendario degli eventi è fitto e per saperne di più basta visitare il sito https://museostrumentimusicali.beniculturali.it/ o iscriversi alla newsletter. 

Il Museo rientra nel circuito di ROMA PASS e ROMA & PIÙ PASS; la prima domenica del mese l’ingresso è gratuito.

Autore

  • Silvia Gravili

    Nata nell’81, dopo la laurea magistrale conseguita con lode e un dottorato di ricerca su sviluppo territoriale, turismo, sostenibilità e valorizzazione dei prodotti tipici delle filiere agroalimentari e artigianali, si è specializzata in Social media management. Esperta di comunicazione istituzionale, relazioni pubbliche e comunicazione di sostenibilità, attualmente svolge la sua attività al CIHEAM, l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari.

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