venerdì, Maggio 17, 2024
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“Terra!” denuncia la crisi del pomodoro

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Il settore dell’industria del pomodoro è in crisi, conseguenza di caporalato, sfruttamento e insostenibilità. Lo sostiene il rapporto “Spolpati” a cura dell’associazione ambientalista “Terra!”, presentato all’interno della campagna “Filiera Sporca”. Il dossier è il risultato di un lavoro sul campo che ha richiesto cinque mesi di ricerche tra Puglia, Campania ed Emilia, passando per la Cina, con l’obiettivo di ricostruire il sistema di produzione, trasformazione e commercializzazione del pomodoro, uno dei prodotti simbolo del made in Italy.

Con un fatturato di circa 3 miliardi l’anno, il pomodoro da industria rappresenta uno dei principali prodotti dell’agricoltura italiana. Il 60% è inviato all’estero, il 40% rimane in Italia. Dietro Stati Uniti e Cina, il nostro Paese è il terzo trasformatore mondiale di questo alimento. Il dossier mette in evidenza tutti gli elementi di disfunzione della filiera del pomodoro nel Sud Italia, che cominciano fin dal campo, dove la parte di raccolta a mano, circa il 15% del totale, è effettuata da braccianti stranieri capeggiati dai cosiddetti “caporali”. Pagati a cottimo, a seconda dei cassoni che riescono a riempire, questi lavoratori devono versare parte del loro guadagno ai “capisquadra”, che li reclutano e organizzano il loro trasporto dai luoghi dove dormono fino ai campi su cui lavorano. Terra! saluta con soddisfazione la recente approvazione della legge sul caporalato. Tuttavia, come rimarcato nel rapporto, è necessario ed urgente intervenire sulla prevenzione, riformando l’intera filiera per eliminare le cause dello sfruttamento.

A questo proposito “Spolpati” fa emergere con maggiore evidenza gli altri elementi distorti della filiera. Oltre alla raccolta a mano, sempre più marginale perché sostituita dalle macchine, una criticità sostanziale è rappresentata dalle cosiddette organizzazioni dei produttori (OP). In gran parte dei casi controllate da ex commercianti e non da reali produttori, i quali dovrebbero svolgere un ruolo di intermediazione tra la parte agricola e quella industriale.
Tuttavia, il contratto concluso ogni anno tra le rappresentanze delle OP e quelle degli industriali, nel Sud Italia, non ha alcun valore vincolante. È un cosiddetto “prezzo di massima”.

In caso di abbondanza di materia prima, il prezzo d’acquisto cala vertiginosamente, come accaduto nel 2015, quando il pomodoro tondo è stato acquisito anche a 6 centesimi al chilo (a fronte di un prezzo da contratto pari a 9,5 centesimi). Quando c’e’ carenza, come accaduto quest’anno, il prezzo sale. A settembre, l’industria si è trovata ad acquistare pomodoro anche a 13 centesimi al chilo (a fronte di un prezzo da contratto di 8,7 centesimi).

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