“Qualitativamente superiore” il 40% della produzione italiana di olio extravergine
Presentato da Symbola e CRA con la collaborazione di Coldiretti e Unaprol il Piq-Prodotto interno qualità dell’olio. A battesimo il primo set di indicatori per misurare la qualità, e prevenire il rischio frodi. Lo dice il web: scarsa la conoscenza di uno dei protagonisti del made in Italy
Il 40% dell’olio extra vergine di oliva italiano è qualitativamente superiore rispetto al resto della produzione nazionale. “Di qualità”, secondo la definizione di Symbola e CRA – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’economia agraria – non significa solo qualità organolettica, ma soprattutto frutto di una filiera che, in tutti i suoi passaggi – dalla terra, alla molitura, alla distribuzione – riserva le giuste attenzioni verso l’ambiente, il capitale umano, la gestione delle risorse e dei rifiuti, che riduce i fitofarmaci, adotta certificazioni, rispetta i parametri di qualità salutistica.
Lo dice il primo PIQ – Prodotto interno qualità sulla filiera oleicola, realizzato da Fondazione Symbola e CRA in collaborazione con Coldiretti e Unaprol, presentato nel padiglione Coldiretti all’Expo di Milano, alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina. Il rapporto è stato presentato nel corso di un convegno dal titolo “L’olio italiano e la sfida della qualità – Il PIQ della filiera oleica: per identificare, misurare, difendere”, con l’intento di descrivere la produzione di olio in Italia, divisa tra eccellenze e grandi problematiche.
Per misurare la qualità della filiera, Symbola e CRA hanno messo insieme 102 indicatori che rappresentano il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio. Alcuni dimostrando tendenze positive – come il contenimento dei costi di consumo dell’acqua, la certificazione biologica, la quota di olio recuperato sul totale distribuito – che vengono soppesati con segnali d’allarme quando nella filiera qualcosa non torna.
Se, ad esempio, nella fase agricola, i costi per fitofarmaci e fertilizzanti aumentano, incidendo sui margini aziendali, e contemporaneamente calano i prezzi alla vendita delle olive, come registrato negli ultimi anni, le aziende risultano sotto stress a discapito della qualità e, in casi estremi, ricorrono a soluzioni non in regola.
Attualmente si osserva dunque una polarizzazione del marcato: da una parte troviamo le imprese che scelgono la qualità, e fanno crescere il valore del loro prodotto; dall’altra ci sono quelle che, in difficoltà, tagliano sulla qualità puntando alla quantità. E’ così che si giunge ad un ampliamento della forbice tra la produzione di qualità, ferma appunto al 39,2%, e una di basso livello, pari addirittura al 60,5% di quella nazionale. Sebbene il nostro Paese copra infatti da solo ben il 20% della produzione comunitaria – laddove l’Unione Europea detiene il primato mondiale – nel 2014 si è registrato un allarmante aumento del 38% di olio di importazione, contestuale al calo di oltre il 35% dei raccolti nazionali.
Tali dati, con qualche anno di anticipo, avevano colto le difficoltà del settore, oggi rivelate, ad esempio, dai sequestri di olii e grassi da parte dei Carabinieri dei NAS, aumentati dal 2007 al 2014 del 483%, raggiungendo solo lo scorso anno il valore di 7,5 milioni di euro.
L’obiettivo che ci si pone è invece quello di stimolare il paradigma dell’economia della qualità, secondo cui a minor quantità corrisponde un maggior valore dei prodotti: questo è accaduto ai produttori di vino che, travolti nello scandalo del metanolo, hanno cambiato rotta, passando dalla quantità a basso prezzo alla qualità del legame con il territorio, con vitigni pregiati e recupero di una tradizione antica come quella di greci, etruschi, cartaginesi e romani. Tanto che oggi produciamo il 50% di vino in meno, ma il suo valore è cresciuto di sei, sette volte e nel 2014 abbiamo esportato vino per circa 5 miliardi di euro.
La definizione del PIQ olio rappresenta dunque il primo database attraverso cui valutare gli olii in commercio: uno strumento di trasparenza e informazione per le istituzioni deputate al controllo di produzione e prodotto, un vademecum per le imprese del settore, ma anche un sussidiario fondamentale per i consumatori, che si rilevano poco informati.
Che differenza passa allora tra una bottiglia d’olio extravergine di oliva da 3 euro e una da 9? La diversità sta nel sapore, ovviamente, e anche in parametri importanti come i polifenoli, lo squalene, il rapporto acido oleico/linoleico sui quali i diversi olii hanno valori che possono essere variare anche molto.
Come dimostrano i dati rilevati da Voice from the Blogs per PIQ Olio sulle conversazioni via internet a livello globale, analizzando quasi 2 milioni di post tra quelli in inglese e quelli in italiano (tra blog, news, forum, social network, su tutto il 2013), nei confronti dell’olio prevale un atteggiamento positivo (80% dei post in inglese, 94% in quelli in italiano). Ma dietro questo approccio c’è una scarsissima consapevolezza e informazione. Dai post italiani risulta, ad esempio, che il 12,8% degli utenti rivela l’abitudine a impiegare un “olio qualsiasi”. A confermare la scarsa informazione, è l’uso fatto in cucina. Risulta bassissimo (3,7%) l’accostamento tra extravergine e frittura: quando invece proprio l’extravergine è ideale allo scopo. Anche l’analisi del blocco a sentiment negativo rivela una scarsa conoscenza dell’olio: in più del 30% dei casi la percezione negativa è giustificata sostenendo che l’extravergine di oliva “non è sano e fa ingrassare”.
L’incontro di Milano è stato organizzato per fornire un’osservazione scientifica del PIQ dell’olio, per comprendere punti di forza e trovare soluzioni alle difficoltà riscontrate negli ultimi anni, guardando al rispetto e alla tutela dei consumatori la cui accresciuta conoscenza del prodotto potrà agevolare una domanda più consapevole stimolando di conseguenza un’offerta di qualità superiore dei nostri migliori oli extra vergine di oliva made in Italy.