Più vicina la clausola di salvaguardia per il riso italiano
L’Ente Nazionale Risi ha chiesto a Bruxelles l’approvazione della clausola di salvaguardia per proteggere il nostro prodotto dall’aggressività competitiva di Cambogia e Myanmar
di Cristiana Persia
Con 219 mila ettari di superficie utilizzata nel 2017, 4109 aziende produttrici e 92 imprese agroalimentari dedicate alla sua trasformazione, il nostro Paese si conferma il primo produttore di riso dell’Unione europea , con più del 50% dei terreni a coltura rispetto a tutti gli altri Stati. Dopo di noi – con grande distacco – la Spagna con circa 100mila ettari destinati a questo prodotto.
Il tutto per un volume d’affari che porta ai nostri risicoltori proventi per circa 450 milioni di euro l’anno, mentre fa confluire nelle tasche dell’industria dedicata ricavi che superano il miliardo di euro.
Un prodotto che ci vede dunque sul podio in Europa e trova in primis il gradimento degli stessi italiani, che hanno modo di apprezzare il riso come uno degli ingredienti più diffusi – dall’antipasto fino al dolce – di molti dei piatti più identificativi della nostra tradizione enogastromica.
Eppure il settore – come sottolineato nell’intervento di oggi in Commissione Agricoltura a Montecitorio da Paolo Carrà e Roberto Magnaghi, rispettivamente presidente e direttore generale dell’Ente nazionale Risi – è dal 2009 che sta soffrendo di una gravissima crisi strutturale, dovuta principalmente alla concorrenza delle importazioni a dazio ridotto provenienti da Paesi come Cambogia e Myanmar. L’introduzione di queste merci (risultato di un accordo siglato da Bruxelles per favorire le economie di questi Paesi asiatici gravemente condizionati dalle condizioni economiche anche nel loro sviluppo democratico, favorendoli attraverso l’importazione di prodotti agricoli contingentati a dazio zero) ha tuttavia fortemente destabilizzato il mercato nazionale, incidendo sia nella produzione risicola e nei prezzi di mercato, nonché sulla stessa preferenza espressa nelle scelte dei consumatori allettata da costi inferiori. Basti pensare, fa osservare Magnaghi, che il prezzo medio del risone all’ingrosso per la campagna 2014-2015 si aggirava intorno ai 402 euro per tonnellata, mentre nel 2017 questo era precipitato a 292 euro, creando una situazione quasi insostenibile per i produttori nazionali e non solo. In Italia ciò ha significato, ad esempio, l’abbandono delle coltivazioni di riso Indica per quasi il 50% degli appezzamenti dedicati a questa tipologia.
Sulla base di queste considerazioni l’Ente Risi è quindi riuscito – in coordinamento con i colleghi spagnoli – ad ottenere l’attenzione di Bruxelles circa la possibilità di introdurre la clausola di salvaguardia per il settore.
Se approvata, questa misura permetterebbe di bloccare le importazioni a dazio zero dai Paesi asiatici per un periodo di circa tre anni, offrendo così un periodo di tregua al comparto per ristrutturarsi e affrontare eventualmente meglio la concorrenza.