Per “assaggiare” i sapori di Romagna
Alla Casa del Cinema di Roma ricordi e testimonianze dell’universo alimentare felliniano. La mostra, dedicata a due romagnoli illustri, Federico Fellini e Pellegrino Artusi, però da lunedì chiuderà di nuovo a causa della zona rossa.
Ludwig Feuerbach sosteneva che “l’uomo è ciò che mangia” o forse potremo dire che mangia ciò che ricorda, un po’come accadde a Marcel Proust con le sue madeleine che lo riportarono all’infanzia, quando assaporava il dolcetto inzuppato nel tè al tiglio della zia Leonie, come raccontava nel primo capitolo della “Recherche du temps perdu”. Si tratta di una sorta di preziosa memoria involontaria capace di riportarci indietro nel tempo, con i suoi odori e i suoi sapori, più nota, appunto, come “sindrome di Proust”.
Una memoria che Antonio Maraldi ha riacceso per noi con la mostra “Fellini tra tavola e cucina, ricordando l’Artusi”, allestita alla Casa del Cinema di Roma nello spazio Age&Scarpelli. La mostra però, a causa della zona rossa, da lunedì chiuderà di nuovo. Si tratta di un omaggio a due romagnoli illustri nella ricorrenza del centenario dalla nascita di Federico Fellini, uno dei maggiori registi della storia del cinema, e del bicentenario di Pellegrino Artusi, gastronomo e scrittore, autore nel 1891 del celebre libro di ricette “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
Osservando gli scatti tratti dalle scene dei suoi film più famosi, il visitatore può riassaporare il gusto della Romagna di un tempo attraverso l’immaginario culinario di Fellini attorno alle sue tavole imbandite di matrimoni e feste, ma anche dei più semplici deschi familiari, che ormai sono entrate nell’immaginario collettivo.
Chi non ricorda la moglie Giulietta Masina nei panni di Gelsomina, in versione Scaramacai, che saltella intorno al desco degli sposi, ne “La strada” che nel 1957 gli valse l’Oscar come miglior film straniero? Oppure le più sofisticate immagini di “Giulietta degli spiriti”, il suo primo film a colori.
E poi ci sono le immagini del suo film più famoso, una rievocazione nostalgica per eccellenza, “Amarcord”, univerbazione, appunto, della frase romagnola “a m’arcord”: “io mi ricordo”, e del suo vivace desco familiare, che gli valse il quarto Oscar, nel 1975, sempre come miglior film straniero.
Fellini era molto affezionato alle tradizioni gastronomiche della sua terra che amava disegnare, anche sui tovaglioli del ristorante, e che sono state raccontate da Francesca Fabbri Fellini, innamorata dello zione, che, quando poteva, lasciava Roma e faceva un salto nella sua Rimini per gustare gli speciali manicaretti di famiglia. Federica ha ripreso in mano le ricette di casa e le ha arricchite con ricordi e aneddoti e ne ha ricavato il volume “A tavola con Fellini”.
Insomma, si tratta di una mostra che oltre a ricordare due grandi romagnoli rende omaggio anche ai gusti e ai sapori simbolo della buona tavola italiana in tutto il mondo, su cui aleggia la filosofia del gastronomo di Forlimpopoli che già nel frontespizio del suo celebre ricettario lo qualificava come un manuale pratico per le famiglie, basato su un programma gastronomico semplice e alla portata di tutti, riassunto nella triade Igiene, Economia e Buon gusto.
Barbara Civinini