lunedì, Maggio 13, 2024
Ambiente

Nuovo appello per la salvaguardia ambientale in vista della COP 22

Nel 13° Forum Internazionale per l’Informazione ambientale, organizzato da Greenaccord, si è parlato delle politiche ambientali da affrontare a Marrakech, nella conferenza Onu sul clima organizzata in Marocco

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Il rispetto dei diritti umani e delle diversità, come elemento chiave nelle politiche di sviluppo sostenibile, devono essere ribadite alla COP 22 di Marrakesh. Questo l’appello lanciato da Greenaccord nel corso del 13° Forum Internazionale per l’Informazione ambientale organizzato a Frosinone, in collaborazione con i ministeri degli Affari Esteri e dell’Ambiente, dedicata ai popoli indigeni impegnati nella difesa dei loro territori.

“Il 60% della Terra è gestita da comunità locali, ma solo il 10% è riconosciuta ufficialmente di loro proprietà”, ha spiegato Francesco Martone, esperto di questioni climatiche e diritti dei popoli indigeni intervenuto all’evento. “Il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni – ha aggiunto – deve essere considerato un elemento costitutivo nei tavoli internazionali”. Quanto al contributo che queste comunità possono offrire sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, Martone sottolinea che “tutelare le loro terre è un modo efficace per tenere la CO2 nel suolo e quindi intraprendere un’azione di mitigazione e adattamento”.

In vista della COP22, il climatologo ha sottolineato anche le tante sfide da affrontare: implementare l’accordo di Parigi, ridisegnare lo sviluppo agricolo in base all’adattamento al cambiamento climatico, ma soprattutto “ribadire l’impegno che qualunque iniziativa sul cambiamento climatico debba fondarsi sul rispetto del diritto dei popoli indigeni”. Un tema, quello dei diritti umani, che secondo Martone è affrontato nell’accordo di Parigi “in modo troppo vago, senza considerarlo come un obiettivo chiave dello sviluppo sostenibile che deve rispettare le diversità”.

La tutela dei diritti delle comunità locali va quindi di pari passo con il riconoscimento dell’importanza del settore agricolo, realtà cruciale per la loro vita, fortemente danneggiata dai cambiamenti climatici.
A tracciare un focus sul mondo agricolo è Ignazio Gibiino, presidente Giovani Coldiretti Sicilia, che nel suo intervento al Forum ha ricordato come l’isola, storicamente considerata “granaio d’Italia” oggi abbia visto spostare il 50% della produzione di grano in Pianura Padana, esattamente come accaduto con i pomodori, un tempo di origine esclusivamente campana e oggi, a seguito dei cambiamenti climatici, prodotti in gran parte nel Nord Italia.

“Il settore agricolo negli ultimi 20 anni ha ridotto del 20% le proprie emissioni di CO2 – ha ricordato il rappresentante di Coldiretti – anche grazie agli impegni comunitari che oggi destinano fondi importanti al settore. In tema di politiche sostenibili – ha quindi ribadito Gibiino – è fondamentale considerare l’agricoltore come soggetto sociale di un bene comune quale è il territorio”. 

Contrastare l’aumento della temperatura della Terra

Secondo Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord , “il vero punto debole della COP21 è stata la mancanza di una ‘roadmap’ precisa che si rivolga agli impegni nazionali volontari con obiettivi specifici. Nel nostro Paese – ha aggiunto il rappresentante dell’associazione ambientalista di matrice cattolica – gli scenari climatici portano risultati drammaticamente sorprendenti, perché da noi, se non saranno attivate politiche concrete di contrasto al ‘climate change’, le temperature potranno aumentare il doppio rispetto alla media mondiale”. Masullo ha poi ricordato che se gli accordi di Parigi sul clima non produrranno risultati concreti, l’Italia, così come l’intera area del Mediterraneo, potrebbe essere “una delle aree del Pianeta a pagare il conto più salato in termini di innalzamento delle temperature globali, con un incremento di 8 gradi centigradi”.

“La connessione scientifica tra i cambiamenti climatici e l’utilizzo dei combustibili fossili – ha detto Masullo – è stata fortemente contrastata dal mondo della finanza e il grande merito di Parigi è stato proprio quello di aver convinto quel mondo a prendere coscienza che il futuro non potrà più essere come il passato. Per questo mi auguro – ha concluso – che a Marrakesh si discutano concretamente meccanismi di controllo degli impegni volontari previsti da Cop21”.

Anche i climatologi e gli esperti di sviluppo sostenibile intervenuti al Forum concordano che, oltre agli impegni dei decisori pubblici, occorre un colpo di reni del mondo produttivo e finanziario, insieme a un cambio di paradigma dei criteri per calcolare lo sviluppo. Per gli esperti nessun patto sul clima potrà infatti essere efficace se non sarà supportato da un piano di investimenti messo in campo da tutti gli attori internazionali, come sottolineato da Michele Candotti, dell’Agenzia Onu per l’Ambiente, l’Unep: “La COP 21 di Parigi è figlia di una grande azione di diplomazia ambientale fondata su una base scientifica molto solida” ha spiegato Candotti, “Un accordo che ha messo in rete una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile senza mettere in discussione le sovranità nazionali, che al contrario sono state responsabilizzate”,

Il vero gap che deve essere colmato dopo Parigi, ha osservato il rappresentante di Unep, “è però la mancanza di flussi finanziari adeguati per la realizzazione di politiche sostenibili e da questo punto di vista mi auguro che l’Italia, che il prossimo anno prenderà la presidenza del G7, potrà svolgere un ruolo da protagonista”.

Sempre parlando di finanziamenti preoccupa la “denuncia” di René Castro Salazar, direttore generale aggiunto della FAO, che nel suo intervento ha sottolineato come “i 100 miliardi previsti per il Green Climate Fund istituito dall’Onu non saranno sufficienti per finanziare tutte le attività di adattamento e mitigazione necessarie a raggiungere l’obiettivo di mantenere sotto i 2°C l’innalzamento della temperatura fissato durante la COP21 di Parigi”. Tra l’altro, ricorda Castro, “al momento sono stati stanziati solo 10 miliardi delle risorse previste”. L’obiettivo era di arrivare a 100 miliardi entro il 2020. E con il passare del tempo il traguardo appare sempre più improbabile. Eppure gli investimenti sono essenziali per permettere di azzerare le emissioni di molte attività produttive – a partire dal settore agricolo – in particolare nel caso dei piccoli produttori. “Per questo, la FAO cercherà di fare da tramite tra i diversi Paesi, il Green Climate Fund e le banche di sviluppo regionali per essere certi che le risorse vengano utilizzate in modo efficace. Altrimenti – ha concluso Castro Salazar – ripeteremo gli errori di protocollo di Kyoto che ha escluso i piccoli attori dal sistema”.

Cosa fare per invertire la rotta

Una rivoluzione culturale virtuosa, che ponga al centro il rispetto dell’ambiente, può realizzarsi solo partendo dal basso, come ha ricordato nel suo intervento al forum Michael Renner, analista del Worldwatch Institute di Washington. “Il cambiamento si verifica solo quando c’è pressione dal basso verso l’alto. La vera sfida che abbiamo di fronte è come creare un legame tra ciò che la gente chiede e ciò che sarà deciso dai politici. Se non cambiamo ora – ha concluso Renner – le conseguenze saranno gravissime”.

Il tema della decrescita come elemento per realizzare un nuovo modello di giustizia climatica e sociale che modifichi l’idea di benessere è stata approfondita anche da Joan Martinez Alier, docente dell’Università Autonoma di Barcellona. “Dobbiamo pensare ad un sistema di reciprocità sociale che metta alla base l’altruismo verso le generazioni future”.

Per l’economista statunitense Robert Costanza invece “gli obiettivi di sviluppo sostenibile spingono a rivedere il paradigma del Pil come indicatore di benessere della società. I dati a disposizione ci dicono infatti che dobbiamo orientarci ad un nuovo modello che, nell’ambito dei costi sociali dello sviluppo sostenibile, tenga conto di una più equa distribuzione del reddito”.

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