giovedì, Settembre 19, 2024
Agricoltura

“Limito”, esperienza unica per arrivare al cuore della vigna

Immaginate un altopiano a 500 metri d’altezza, immerso nella natura selvaggia, contornato da boschi, cielo, e il mare in lontananza. Siamo nella Tenuta Antoniana dell’Azienda Agricola Biologica Marco Carpineti, tra i Comuni di Bassiano, Sezze e Sermoneta. Un paradiso naturale, fatto di boschi, laghetti e, sull’altopiano, i vigneti di Bellone, Abbuoto e Nero Buono dell’azienda.

Qui, una porzione di vigna di circa tre ettari è stata ripensata completamente per dare vita, nel cuore di questo scenario naturale unico nel suo genere, a una vera e propria opera di design. Limito, un suggestivo labirinto che rilegge la vigna in una chiave inedita e racconta l’intento della famiglia Carpineti: un vigneto inclusivo come metafora della vita e rappresentazione di bellezza, arte e creatività.

L’opera di land art si compone di un elaborato disegno che ospita due spirali e un labirinto, il tutto avvolto da un turbinio di onde, che vogliono abbracciare chi percorre l’interno della vigna. L’idea nasce dalla volontà di creare un vigneto in grado di includere e accogliere, di ospitare invece che di creare barriere.

“Generalmente un filare è composto da un punto A e un punto B, non c’è modo di attraversarlo come vuoi. A me questa cosa ha sempre data un senso di scarsa accoglienza, penso che un vigneto debba essere un luogo ospitale che ognuno può attraversare e vivere come vuole” racconta Paolo Carpineti, che tra i filari ci è letteralmente nato.

“Il labirinto è metafora del percorso della vita che ognuno di noi svolge cercando di trovare la strada per il raggiungimento dei propri sogni, della propria visione e realizzazione. Ci sono momenti in cui sono presenti ostacoli e interruzioni, situazioni in cui si deve cambiare direzione per imboccare finalmente quella giusta” continua.

In sostanza, il vigneto-labirinto si fa allegoria dell’esistenza riappropriandosi in questa versione enologica di tutto il suo antico simbolismo. Perdersi per ritrovarsi dunque, per riflettere e ritrovare se stessi, un po’ come fa il vino che, attraverso un calice, tira fuori la nostra sincerità, la giusta sensibilità per comprendere noi stessi ma anche la capacità e la convivialità per accogliere gli altri, sentimento mai come oggi sempre più necessario.

Così, seguendo questa visione concettuale di “Labirinto”, nel 2020 si fa strada l’idea di abbandonare lo schema di impianto classico e parallelo dei filari di vite, e dare una nuova espressione “del far vivere la vigna”. Una visione che per la famiglia Carpineti si allarga al concetto di “polis” in cui l’opera si fa città, con le sue vie, le sue piazze e i suoi alberi. Una visione affidata alla progettazione dello Studio di Architettura del Paesaggio Fernando Bernardi che mette in pratica l’idea di Paolo Carpineti.

Nasce così il labirinto con i suoi 80 metri di diametro, i 4 ingressi e le due soluzioni differenti. Due piazzole per la sosta poste ai lati di esso, circondate da 8 cipressi, svettano come colonne e sono un “punto di riferimento” per chi lo attraversa. Infine, sono presenti due spirali che, come onde, danno dinamicità all’intero disegno e possono essere percorse entrando da un lato ed uscendone dall’altro.

Lo scopo principale è far vivere, a chi lo attraversa, un viaggio esistenziale da percorrere tra suoni, colori e profumi della natura, ma anche un viaggio spirituale dove il cercare la soluzione è una sfida verso la redenzione.

La realizzazione fisica dell’intero progetto è stata un percorso lento e preciso, fatto di studio e tanti rilievi, supportato dall’aiuto dei collaboratori che hanno preso parte alla costruzione del disegno, interamente eseguito a mano, pianta dopo pianta, centimetro dopo centimetro. Non a caso i vitigni piantati sono in primis Bellone e Nero Buono, varietà riscoperte dall’azienda quando erano praticamente dimenticate.

Una vera scommessa e un progetto preciso, valorizzare queste uve attraverso l’approccio biologico declinandole in tipologie diverse, in base al microclima e al suolo di ogni tenuta e persino nell’ormai consolidata e apprezzata versione metodo classico con lo scopo di ottenere dei veri e propri cru in grado di esprimere il terroir in maniera unica.

Ad aggiungersi alle due varietà anche un’altra uva antichissima: l’Abbuoto. Presente in questi luoghi già in epoca remota era il vino bevuto dagli antichi romani. Il vitigno faceva infatti parte del blend del vino Cecubo, decantato da Orazio e Plinio, come antesignano della grande viticoltura.

Le tre varietà sono state scelte con l’idea di rappresentare nel labirinto proprio le uve antiche di quei luoghi e rafforzare ancora di più il concetto di territorio. La particolare conformazione del labirinto sposa anche una precisa sperimentazione: con le sue onde e le sue ombre, vuole infatti sviluppare un impianto nuovo che sia funzionale alla giusta maturazione delle diverse uve e in grado di valorizzare e gestire al meglio la pianta e i suoi frutti.

Inoltre, la scelta ha portato a creare un disegno preciso anche in base alla colorazione delle uve e delle loro foglie in maniera che, con l’arrivo dei primi freddi, cambiassero colore e trasformassero il disegno in un tripudio di nuance che si accendono, fornendo allo spettatore un continuo cambio di scena.

Un’architettura funzionale ed estetica al tempo stesso, che si realizza in senso rinascimentale, per ridare dignità a luoghi antichi che un tempo brillavano, in grado di rispettare il luogo, integrarsi con esso e con il cambiamento climatico, per valorizzare l’ascolto del suo genius loci e la sua bellezza intrisa di cultura. “Perché”, spiega la famiglia, “vogliamo rendere le nostre tenute, nate e pensate per produrre uva, dei musei a cielo aperto. Trasformare ciò che è produttivo in qualcosa di artistico. Tornare a parlare di bellezza, creatività, ingegno e distintività. Ciò che ha reso l’Italia per secoli una terra di bellezza e bacino di una capacità del “fare” unica al mondo”.

Autore

  • Tiziana Briguglio

    Giornalista agricola ed enogastronomica, ha collaborato per lunghi anni con i quotidiani nazionali “Libero” e “Il Tempo” ed attualmente è vicepresidente dell’Arga Lazio (l’Associazione regionale Giornalisti Agricoltura, Alimentazione, Ambiente, Territorio, Energie: Gruppo di specializzazione della Associazione Stampa Romana-FNSI). Fondatrice e presidente dell’Associazione “Agroalimentare in Rosa”, è organizzatrice di grandi eventi e direttrice tecnica e scientifica di numerose manifestazioni volte alla valorizzazione dei giacimenti agro-culturali italiani. Dal 2020 è vicepresidente nazionale di Confassociazioni Tourism Food Hospitality con delega alla Comunicazione ed Eventi. Dal 2013 è tra i promotori ed organizzatori del Festival Cerealia.

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