Legambiente presenta il dossier “Stop Pesticidi”
I dati dello studio certificano che un terzo dei prodotti alimentari analizzati sono contaminati da pesticidi. La Coldiretti però rassicura: “appena lo 0,3% dei prodotti Made in Italy contiene residui chimici oltre il limite”
Tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi riguarda un terzo dei prodotti analizzati (36,4%). Con casi eclatanti come quello del tè verde, risultato contaminato da un mix di 21 differenti sostanze chimiche. Residui chimici in quantità sono stati rinvenuti anche nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale, contaminata anche da 7, 8 o 9 sostanze contemporaneamente.
L’allarme multiresiduo arriva dal report ”Stop pesticidi”, il dossier di Legambiente che raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la Protezione Ambientale, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e Asl.
Nonostante la crescente diffusione di tecniche agronomiche sostenibili, l’uso dei prodotti chimici per l’agricoltura in Italia rimane significativo – segnala Legambiente – sebbene la situazione tra il 2010 e il 2013 sia migliorata con un trend di diminuzione dell’uso pari al 10%, nel 2014 si è registrata un’inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a crescere, passando da 118 a circa 130mila tonnellate rispetto all”anno precedente.
In particolare, nel 2014, sono stati distribuiti circa 65mila tonnellate di fungicidi (10,3mila tonnellate in più rispetto al 2013), 22,3mila tonnellate di insetticidi e acaricidi, 24,2mila tonnellate di erbicidi e 18,2mila tonnellate di altri prodotti.
Nel complesso, l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), piazzandosi però al secondo posto per l’impiego di fungicidi.
Legambiente segnala, però un dato positivo: la crescita delle aziende agricole che scelgono di non far ricorso ai pesticidi e di produrre secondo i criteri biologici e biodinamici, seguendo forme di agricoltura legate alle vocazioni dei territori, operando per salvaguardare le risorse naturali e la biodiversità grazie alla ricerca e all”innovazione. La superficie agricola biologica in Italia, infatti, tra il 2014 e il 2015 ha registrato un aumento del 7,5%.
“Lo studio presentato oggi – sottolinea la presidente di Legambiente Rossella Muroni – evidenzia in modo inequivocabile gli effetti di uno storico vuoto normativo: manca ancora una regolamentazione specifica rispetto al problema del simultaneo impiego di più principi attivi sul medesimo prodotto. Da qui la possibilità di definire ”regolari”, e quindi di commercializzare senza problemi, prodotti contaminati da più principi chimici contemporaneamente se con concentrazioni entro i limiti di legge. Senza tenere conto dei possibili effetti sinergici tra le sostanze chimiche presenti nello stesso campione sulla salute delle persone e sull’ambiente. Eppure le alternative all’uso massiccio dei pesticidi non mancano”.
“La terra, l’aria, l’acqua, il cibo, la salute sono di tutti, non solo di una categoria economica – dice il presidente di Alce Nero Lucio Cavazzoni – Si tratta di un diritto fondamentale per una società civile, spesso celato da normative ipocrite che trascurano l”effettiva pericolosità della diffusione di tante molecole chimiche dannose”.
Anche quest”anno – si legge nel dossier dell’associazione ambientalista – la quantità dei residui di pesticidi che le Agenzie per la Protezione Ambientale e Istituti Zooprofilattici Sperimentali hanno rintracciato nei prodotti da agricoltura convenzionale, nei prodotti trasformati e miele, resta elevata: salgono leggermente i campioni irregolari (1,2% nel 2015, erano lo 0,7% del 2014); mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente sono il 36,4% del totale, più di un terzo dei campioni analizzati (9608 campioni), in leggero calo rispetto al 2014 (41,2%).
La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo, invece, è in leggero rialzo rispetto al 58% del 2014, si attesta al 62,4%. Tra i casi eclatanti – rileva il dossier – prodotti di provenienza extra Ue come il tè verde con 21 residui chimici e le bacche con 20, ma anche il cumino con 14 diverse sostanze, le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 o l’uva con 9 principi attivi. Ancora una volta, infine, la frutta è il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità.
I dati di ”Stop pesticidi” sono il frutto delle analisi condotte dai diversi laboratori pubblici italiani. Le maggiori irregolarità sono state riscontrate dai laboratori che conducono il maggior numero di controlli (Lombardia ed Emilia Romagna) contemplando il più alto numero delle sostanze da ricercare. Mancano invece all’appello i dati della Calabria, che non ha fornito alcuna informazione, e della regione Toscana, che ha fornito i dati in maniera disaggregata, non assimilabile al resto del rapporto. Nel complesso, uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) sono i prodotti più spesso contaminati dalla presenza di residui di pesticidi.
Eppure, proprio l’agricoltura – conclude Legambiente – potrebbe rappresentare il più importante alleato per affrontare le attuali sfide ambientali e per lo sviluppo di una nuova economia. Il primo passo è il rilancio di buone pratiche agricole attente alla complessità dei processi naturali e soprattutto capaci di innovare e sperimentare nuove tecnologie. Il motore di questo cambiamento, che include anche la riduzione dei pesticidi, è l’agricoltura biologica, con le sue molteplici varianti, come l’agricoltura biodinamica.
Getta invece acqua sul fuoco la Coldiretti che, in risposta al dossier di Legambiente e sulla base dell’ultima relazione dell’Autorità per la sicurezza alimentare (Efsa), fa notare che appena lo 0,3% dei prodotti Made in Italy contiene residui chimici oltre il limite, mentre la percentuale sale all’1,6 per cento per i prodotti di origine comunitaria.
“L’invasione di prodotti alimentari provenienti dall’estero aumenta dunque il rischio per i consumatori – afferma Coldiretti – come dimostra la classifica dei cibi più pericolosi da noi elaborata sulla base del Rapporto del Ministero della Salute sui sistema di allerta europeo che per quanto riguarda i pesticidi vede in testa per pericolosità le spezie dall’India come il peperoncino fichi secchi e peperoni, dalla Turchia ma anche la frutta e verdura dall’Egitto come olive e fragole e i broccoli ed i funghi dalla Cina. Paesi – precisa la Coldiretti – dai quali arrivano spesso cibi diventati di gran moda in Italia, come ad esempio la curcuma originaria dell’India o le bacche di goji, i fagioli azuchi e lo zenzero che sono in gran parte di provenienza cinese. Al contrario l’agricoltura italiana – conclude la Coldiretti – è la più green d’Europa con 288 prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) e 415 vini Doc/Docg, il divieto all’utilizzo degli Ogm e il maggior numero di operativi biologici, circa 60mila, con quasi 1,5 milioni di ettari coltivati o in conversione.