La Gran Bretagna Carbon free entro il 2025
In Inghilterra le Centrali a carbone rimangono spente già per 2 giorni a settimana, mentre continua il programma di Londra per il loro smantellamento totale entro i prossimi 10 anni
Sicuramente non possiamo dimenticare la scena degli spazzacamini che in Mary Poppins ballavano solcando un cielo talmente scuro a causa delle emissioni di carbone da essersi guadagnato addirittura il nome ad un colore: fumo di Londra.
Da quegli inizi del 1900, epoca in cui è ambientato il romanzo di Pamela Travers, la situazione nella grande metropoli del Regno Unito è decisamente cambiata , anche per effetto delle restrittive normative sulla salvaguardia della qualità dell’aria che in questo Paese sono state prese a partire dagli anni 80. La Gran Bretagna infatti è stato uno fra i Paesi dell’Ue che ha adottato con grande scrupolosità il rigido programma per la decarbonizzazione della nazione e che dovrebbe portare a chiudere qui tutti gli impianti già entro il 2025. E pur ormai fuori dalle direttive di Bruxelles dopo la Brexit, Londra non ha assolutamente rinunciato a questo obiettivo. Questa settimana ad esempio le centrali elettriche a carbone sono state assenti nella produzione dell’offerta energetica per oltre due giorni di fila, 55 ore per la precisione.
Un successo reso possibile dal piano di smantellamento in atto degli impianti che fra il 2014 e il 2017 ha portato a ridurre di quasi il 75% l’approvvigionamento da questo tipo di fonte, utilizzata al momento solo per gestire i flussi di picco di fabbisogno.
Un obiettivo decisamente audace, considerando che nel mondo il carbone copre ancora circa il 40% del fabbisogno energetico utilizzato dalle nostre società.
E in Italia, invece?
Il carbone è una risorsa molto scarsa sul nostro territorio (l’unica miniera di consistente valore è quella del Sulcis, in Sardegna, la cui riattivazione dopo una lunga chiusura ha subito però un drastico ridimensionamento). Una carenza ci impone di importare oltre il 90% di questo minerale dall’estero: USA, il Sud Africa, l’Australia, l’Indonesia e la Colombia, i canali principali, ma anche il Canada, la Cina, la Russia e il Venezuela. Nonostante o più probabilmente grazie a questo, il nostro paniere energia si approvvigiona attraverso questa risorsa per una quota di circa il 13,5% del suo totale(dati Terna).
Un dato che secondo la maggior parte delle associazioni ambientaliste risulta fin troppo elevato, soprattutto se si considera l’impatto inquinante di questi impianti.
Sul nostro territorio abbiamo ancora 8 centrali elettriche a carbone in funzione. 5 di proprietà dell’Enel (Sulcis, La Spezia, Fusina-Venezia, Brindisi sud e Torrevaldiga nord, nei pressi di Civitavecchia), 2 del gruppo A2 spa (Monfalcone(PG) e Brescia) e una di EP produzione quella di Fiume Santo in provincia di Sassari.
Secondo il Wwf questo tipo di Centrali, ancora troppo diffuse nel mondo, sarebbero responsabili da sole di oltre un terzo dell’emissione dei Gas serra che appestano il Pianeta, oltre a produrre effetti dannosissimi per la salute degli abitanti che vivono in prossimità di quest’ultime. Sarebbe quindi opportuno, sottolineano dall’Associazione, che anche l’Italia accelerasse l’impegno verso una loro completa dismissione, convertendosi velocemente verso fonti più sostenibili.
Cristiana Persia