Il nostro territorio? Sempre più cementificato
Nonostante le promesse di piani comunali innovativi e i ripetuti appelli della varie associazioni ambientaliste, il rapporto presentato dall’Istat sullo stato di urbanizzazione del nostro Paese è inquietante. A fronte di una contrazione della nostra popolazione, solo negli ultimi 10 anni abbiamo perso un ulteriore 8,7% del nostro territorio ceduto a nuove strutture abitative e industriali.
Uno strumento per meglio comprendere le trasformazioni subite dal nostro territorio, per predisporre interventi correttivi in un settore che attraverso le varie tragedie che lo stanno investendo ha già ampiamente palesato tutte le sue fragilità. E’ quanto di propone il volume completato dall’Istat: “Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia” e presentato oggi a pubblico e stampa in un appuntamento a Roma, presso la sede centrale dell’Istituto centrale di statistica nazionale e che, fra gli altri, ha visto la partecipazione del presidente di Istat, Giorgio Alleva, del loro direttore generale statistiche ambientali e territoriali, Sandro Cruciani, e del ministro della Coesione territoriale, Claudio De Vincenti.
Dallo studio emerge che l’Italia è di fatto uno dei Paesi più urbanizzati d’Europa, con una percentuale di suolo consumato in questo settore che sfiora il 7%, contro una media europea che si attesta al 4,1% , rispetto ad una popolazione ( quella italiana) che non ha subito particolari incrementi nel corso degli ultimi 20 anni.
Lo studio evidenzia che il nostro Paese vada pazzo per i grandi centri urbani. Rispetto alla media Ue (41,6%), in Italia è il 43,6% della popolazione che vive in Città. Nel nostro Paese sono poi quattro i conglomerati urbani (Milano, Torino, Roma e Napoli) che da soli ospitano quasi il 20% degli abitanti totali. In questi luoghi in particolare la densità abitativa supera di 4 volte quella media nazionale.
Proprio in queste città, dopo un primo arresto della cementificazione avvenuto intorno agli anni ’90, si è verificata una crescita dell’urbanizzazione nelle proprie aree, la più alta negli ultimi trenta anni. Nel Capoluogo campano poi il consumo di suolo è cresciuto a tal punto da saturare tutti gli spazi per eventuali nuovi insediamenti. Qui la superficie dei centri e nuclei abitati e quella delle località produttive occupa circa il 45% del territorio e, nella rimanente parte, la densità di popolazione supera i 53 abitanti per chilometro quadrato.
Una situazione a cui l’intera Penisola non è estranea, basti pensare che in con un’altra città del Nord, Padova, si registra una densità che supera addirittura i 60 abitanti a metro quadro.
Un fenomeno giustificato anche da quello che gli esperti definiscono sprawl urbano, la prassi messa in atto dai centri insediativi più grandi di includere all’interno del loro spazio amministrativo le aree più densamente abitate che gli che ruotano intorno.
Per avere comunque un quadro generale di come il consumo di suolo nel nostro Paese non abbia mai subito un arresto basti pensare che nel 1991 le aree dedicato a strutture consolidate coprivano il 4,8% del territorio. Una percentuale che già nel 2001 era balzata al 6,1% per raggiungere il 6,7% nel 2011. Se si considera poi l’incremento urbano subito solo negli ultimi 10 anni, la percentuale raggiunge l’8,7 per cento, pari ad oltre 1.600 chilometri quadrati.
Se analizziamo infatti il periodo a noi più vicino, solo fra il 2011 e il 2014 in Italia sono stati progettati oltre 540.000 fabbricati destinati ad uso prevalentemente abitativo, una media che ha superato le 40mila strutture l’anno.
Insediamenti che hanno coinvolto in modo particolarmente pesante non solo le aree urbane (+ 27%), ma che si sono estese alle aree di pianura (+ 13%) e a quelle costiere (+ 11,5%).
Cristiana Persia