Il Bio rivaluta la pacciamatura per rigenerare i terreni
A sostegno di coltivazioni biologicamente integrate con l’ambiente, l’esperienza del progetto europeo Soilveg
Dopo anni di un uso intensivo estremo del suolo, con uso e abuso di fertilizzanti chimici e pesticidi, aumenta la sensibilità nei confronti di tecniche agronomiche antiche, aiutate adesso nel raggiungimento dei risultati anche dai progressi tecnologici e dalla Ricerca in questo settore a disposizione degli agricoltori.
Proprio come gli esseri umani, anche il suolo deve riposarsi per rigenerarsi e produrre.
In questa direzione si muove appunto il progetto Soilveg, iniziativa europea triennale con cui otto Paesi Ue (Slovenia, Danimarca, Spagna, Estonia, Belgio, Francia e Lettonia, mentre per l’Italia c’è anche l’università di Bologna) hanno deciso di sperimentare in campo tecniche di non lavorazione del suolo – intese come insieme di pratiche agronomiche per seminare o trapiantare una coltura senza o quasi lavorare il terreno – attuate attraverso il sistema della pacciamatura con l’obiettivo di sfruttare i vantaggi eco ambientali di queste azioni.
L’iniziativa prevede anche l’introduzione di colture di servizio agro-ecologico: coltivazioni finalizzate ai servizi eco sistemici che queste possono offrire: la creazione di biomassa per la pacciamatura oppure l’impollinazione, il controllo dell’erosione, la riduzione del dilavamento degli elementi nutritivi o quello dell’uso dei fertilizzanti azotati, solo per fare alcuni esempi.
Per portare a compimento le lavorazioni – come anticipato – Soilveg ha messo al centro della ricerca la pratica della pacciamatura. Un sistema che se in passato prevedeva di mettere a dimora il terreno manualmente attraverso la sua copertura con foglie o sfalci di lavorazione, adesso viene semplificato attraverso l’utilizzo di un rullo pacciamante, un attrezzo con cui il trattore provvederà a portare a termine per il loro allettamento le coltivazioni eco sistemiche precedentemente seminate ( invece di interrarle ad esempio con la tecnica del sovescio), prima dell’impianto o del trapianto della cultura da reddito.
Una tecnica che si perde nella notte dei tempi e che secondo i ricercatori del CREA – che coordinano il progetto per l’Italia – ha avuto un impatto positivo sui parametri microbici del terreno, uno degli indicatori più importanti della qualità del suolo.
Con questa modalità sono stati coltivati in biologico: cavolfiore, peperone, pomodoro e zucca, utilizzando come colture di servizio agro ecologico: favino, veccia, orzo, grano saraceno, segale.
Sistemi antichi che per giungere a risultati ottimali, possono (e devono) combinarsi con il sapere moderno. Come specificato da Stefano Canali, il ricercatore CREA che coordina il progetto: “L’identificazione delle specie di servizio agro ecologico più adatte e le proporzioni delle diverse specie e famiglie negli eventuali miscugli di semina sono aspetti cruciali da considerare per ottimizzare localmente questa tecnica, che deve essere di volta in volta adeguata ed adattata alle condizioni specifiche del suolo”.
Una prospettiva che appare comunque molto concreta per l’ottimizzazione delle coltivazioni a biologico. Infatti il progetto Soilveg ha mostrato ad esempio che sia la densità delle infestanti, come la loro competitività, sia stata notevolmente inferiore sui terreni pacciamati, rispetto a quelli sovesciati.
La non lavorazione dei terreni ha avuto inoltre risvolti positivi anche per la biodiversità necessaria al controllo naturale dei principali afidi e parassiti delle coltivazioni. In quasi tutti i Paesi in cui è avvenuta la sperimentazione è stato infatti notato un aumento delle comunità di artropodi predatori del suolo: la densità dei coleotteri del suolo (Carabidae), di altri insetti predatori (es. Staphylinidae), e in alcuni paesi anche di ragni, è risultata maggiore in questi terreni rispetto a quelli lavorati.
Con questa tecnica ridotto poi del 20% il consumo energetico, con conseguente abbattimento di produzione dei gas serra.