domenica, Novembre 24, 2024
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Focus Istat sull’agricoltura: giù le produzioni, ma in crescita il lavoro

Il valore aggiunto sull’economia nazionale dell’agricoltura si attesta al 3,91% del Pil, circa 50 miliardi di euro l’anno – in media con gli altri Paesi europei –  ma il settore primario continua il suo stato di ridimensionamento, anche se si registra un aumento dell’occupazione. I maggiori costi di input (energia, salari, fertilizzanti, sementi e mangimi) rispetto agli altri stati Membri continuano a condizionare la concorrenzialità in Italia e all’estero dei nostri prodotti.  Molto bene la situazione sul fronte agroalimentare, con una crescita dell’8,1 rispetto all’anno precedente  

Pur presentandosi abbastanza critico,  il quadro fornito dall’Istat sullo stato economico della nostra agricoltura per il 2016  mette in evidenza anche segnali di timida fiducia espressi dal settore che si sono tradotti rispetto allo scorso anno in un aumento del  numero degli occupati del comparto.

I dati diffusi dall’Istituto centrale di statistica evidenziano un calo complessivo delle produzioni in questo settore per il 2016 pari al  5,4% del valore e dello 0,7% in volume, condizionato soprattutto dalla situazione d’emergenza del settore olivicolo che ha registrato un -44,7% nei  volumi di produzione.

Allo stesso tempo il 2016 ha determinato per l’agricoltura un importante risultato positivo in termini occupazionali. Nel corso dello scorso anno il comparto primario ha infatti registrato un’ ulteriore crescita in termini di unità di lavoro pari allo 0,9%.

Un plus trascinato sicuramente dalla grande fioritura che sta attraversando il comparto industriale di trasformazione di prodotto, che non riesce ad incidere  sui valori complessivi del settore primario perché è da sempre disaggregato nelle valutazioni globali.  Ciononostante è indubbio che i due settori procedano di pari passo.  Non può non essere letto che come ottimo auspicio per prospettive di crescita quindi  il fatto che l’industria agroalimentare nel 2016 porti a casa risultati eccellenti con una crescita pari all’8,1% e un aumento dell’occupazione dello 0,5%, con punte particolarmente accentuate nel settore caseario, in particolare quello legato al parmigiano reggiano.

Ma se questi indicatori possono far ben sperare, il settore agricolo continua assolutamente ad aver bisogno di misure di pianificazione per una suo sviluppo armonico, considerato che risulta essere ancora profondamente segnato (al pari degli altri settori produttivi) da grandi differenze geografiche.

Ciò è evidente dagli indicatori sulla produzione che indicano  una situazione negativa per una larga parte del Paese: -4,6% al Sud, -3,2% nelle Isole e -1,3% al Centro,  ma che si inverte per il Settentrione che per il 2016 porta invece a casa un risultato positivo con una crescita più pronunciata nel Nord-est (+3,4%) e meno nel Nord-ovest (+1,4%).

Sembra invece funzionare la sollecitazione – sostenuta da tutti i PRS –  a diversificare al massimo le attività dell’azienda agricola per cercare di mantenere il reddito.  Le attività secondarie delle imprese agricole  fanno infatti registrare rispetto al 2015 un +1,4% in volume economico, rappresentando l’8,6% della produzione del comparto. Queste includono: energie rinnovabili (in particolare fotovoltaico e biomasse), fattorie didattiche, attività ricreative, agricoltura sociale, vendite dirette, produzione di mangimi, sistemazione di parchi e giardini oltre all’agriturismo e alle attività di trasformazione dei prodotti. A fronte di un buon andamento delle attività agrituristiche (+4,8%) e di quelle collegate all’agricoltura sociale, insieme alle attività di trasformazione e delle vendite dirette, si registra però  un calo della produzione di energie rinnovabili (-1,7%): un settore che segna la prima inversione di tendenza dopo la lunga fase di espansione.

Un altro aspetto importante evidenziato dai dati offerti dall’Istat riguarda il raffronto di lungo periodo fra i costi sostenuti dalle imprese agricole e il valore di vendita di prodotto. Analizzando l’andamento di queste due varabili fra il 2000 e il 2016 i dati dimostrano che il prezzo di vendita dei prodotti agricoli non è riuscito ad inserire l’aumento vertiginoso dei costi di produzione (in particolare mangimi, energia motrice e concimi) che ha ulteriormente marginalizzato, con una flessione di quasi 20 punti percentuali,  i guadagni degli imprenditori agricoli.

Cristiana Persia

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