Euforia per la “mixology” al Roma Bar Show
Il bere miscelato è stato il protagonista assoluto, con vermut e spiriti agrumati a farla da padroni
C’erano tutte le premesse per un successo: e questa seconda edizione del Roma Bar Show lo ha centrato in pieno, chiamando a raccolta i professionisti del piacere alcolico che il 30 e 31 maggio hanno affollato il Palazzo dei Congressi dell’EUR.
I biglietti d’ingresso venduti sono stati oltre diecimila, più della prima edizione che nel settembre 2019 aveva già sorpreso per il suo esordio inaspettatamente euforico. Gli espositori sono stati oltre 150, in tutti gli ambienti del Palazzo dei Congressi: si sono fatti notare molto i giovani imprenditori della liquoristica e della distillazione, con una notevole carica di proposte innovative, di artigianalità e fantasia.
Il visitatore tipo del Roma Bar Show è lo specialista dell’offerta di acquaviti, liquori e cocktail, quello che sul biglietto da visita si qualifica come “bartender”: in pratica, il tecnico che crea il godimento di aromi, sapori ed emozioni facendo da interfaccia fra il produttore e il fruitore del godimento al bancone del bar. Si è assistito, nel salone e nel nutrito fuori-salone, ad una variegata esibizione di fantasia creativa che ha riscosso l’apprezzamento anche dei partecipanti stranieri.
Dopo i due anni e mezzo di pausa forzata per la pandemia, la manifestazione ha ripreso il discorso interrotto accentuando la sua dimensione internazionale. E quanti hanno cercato un paragone con analoghe fiere già affermate all’estero, non hanno potuto esimersi dalla facile battuta che, quando si tratta di produrre piacere e dolce vita, “Italians do it better” (complice anche la primavera romana).
Protagonista assoluta è stata la mixology (in italiano: il bere miscelato. Ma ormai tutti nel settore sfoggiano termini anglo-americani), e anche i grandi marchi internazionali hanno tenuto decine di corsi di specializzazione (o masterclass, per quanti non avessero più dimestichezza con l’italiano – vedi sopra) intesi soprattutto a proporre varie modalità di impiego nei cocktail (sul termine inglese cocktail ci asteniamo dal mugugnare, ormai). E anche i prodotti più affermati sono stati proposti più sovente dopo un passaggio nello shaker (aridàje) che in purezza.
In effetti, se si volesse dedurre da questo Roma Bar Show quale sia l’orientamento del consumo nell’attuale fase di mercato, la risposta più evidente sarebbe la preferenza per il bere miscelato. E, di conseguenza, si è notata l’affermazione dei prodotti che meglio si prestano all’utilizzo nel cocktail, in particolare il vermut e gli spiriti agrumati. Per inciso, si constata che l’importazione italiana della cachaça (distillato bianco brasiliano dalla canna da zucchero) registra nei primi tre mesi di quest’anno un incremento superiore al 230 per cento, di pari passo con il tracollo dell’import della vodka: possiamo supporre che, nella preparazione dei cocktail, la prima abbia preso il posto della seconda, nelle preferenze di un consumatore influenzato da vicende geopolitiche di attualità?
Non dimentichiamo, comunque, che i gusti del consumatore di beni voluttuari sono massimamente volubili, e quelli dei consumatori di spiriti sono i più volubili di tutti. Vedremo cosa sarà cambiato nella terza edizione del Roma Bar Show, già annunciata dagli organizzatori per la prossima primavera.