domenica, Novembre 24, 2024
Ambiente

Economia circolare. Aziende Ue a buon punto, ma c’è ancora molto da fare

cicolareDa un rapporto appena pubblicato da Eurobarometro (l’agenzia che per il Parlamento europeo cura sistematicamente sondaggi nei 28 Paesi membri) emerge da parte delle aziende del’Unione una consapevolezza sempre crescente nei confronti dell’economia circolare, il  sistema dove lo spreco è minimizzato e il valore del prodotto e delle risorse impiegate è ottimizzato per una permanenza il più a lungo possibile all’interno del  ciclo  produzione → consumo → riutilizzo.

Su un campione di 10618 aziende di medie e piccole dimensioni (fino a 250 persone impiegate) del settore manifatturiero, industria e servizi è infatti emerso che circa il 73% delle imprese aveva adottato –  nel corso dell’ultimo triennio –  almeno un’azione relativa all’economia circolare: attraverso il riciclo delle materie impiegate, la vendita degli eccessi o degli scarti di lavorazione a qualche altra azienda, la riduzione degli sprechi o  l’adozione di piani di ristrutturazione energetica (nel 38% dei casi) per limitare gli sprechi.

Più grande era l’azienda, maggiore l’impegno intrapreso in questo senso: il 72% delle piccole aziende contro l’89% di quelle con 50-250 impiegati. Così come a più alti fatturati è corrisposto un investimento maggiore in questo ambito: solo il 69% per quelle a basso fatturato rispetto all’80% di quelle a fatturato più alto.

Fra le imprese che hanno investito nell’economia circolare, il rapporto evidenzia che il 59% di queste lo ha fatto ricorrendo a risorse interne. Tra quelle che invece non hanno intrapreso alcuna attività in questo ambito il 36% ha dichiarato che avrebbe investito in futuro, facendo riferimento (nel 31% dei casi) a forme di autofinanziamento.

Molto basso il ricorso al credito esterno. Se infatti nel 35% dei casi le aziende hanno dichiarato di essere a  conoscenza della presenza di piani di finanziamento pubblici e privati  per implementare attività in questo senso, solo il 3% ne ha fatto uso.

Fra i problemi principali incontrati per adeguarsi a questo percorso virtuoso,  le aziende hanno evidenziato: le difficoltà burocratiche (34%), gli elevati standard qualitativi richiesti (32%), le difficoltà di accedere a finanziamenti (27%).

Di altra natura, invece, le problematicità messe in luce dagli imprenditori che questo percorso non lo avevano intrapreso affatto. In particolare la mancanza di una chiara idea del rapporto costo/benefici (27%), l’incapacità di valutare un piano di investimenti (27%) e, nel 26% dei casi, la convinzione di non aver l’esperienza necessaria per gestire un processo di ammodernamento in questo senso.

Ma quali sono le attività principalmente seguite dalle aziende per modificare il ciclo produttivo?

ITA_quali sono le attività intraprese copiaMinimizzare gli sprechi per il 36%  delle aziende; efficientamento nell’uso di energia per il 24%; rimodulazione del design o delle componenti dei prodotti o servizi per ridurre l’impatto ambientale (21%); riduzione dell’uso dell’acqua nei vari processi (12%); uso di energia da fonti rinnovabili (10%).

In Europa dunque circa il 55% delle imprese ha adottato azioni per minimizzare gli sprechi, riciclando, riutilizzando o rivendendo eventuali eccedenze del ciclo produttivo.  Alcuni Paesi come Malta (83%) o Regno Unito e Irlanda (entrambi nel 75% dei casi) risultano particolarmente virtuosi a dispetto di altri,  come Bulgaria ed Estonia, che si collocano negli ultimi posti in classifica.
L’Italia ha una posizione decisamente mediana. Nel 50% dei casi le aziende tricolori hanno infatti già adottato (23%)  o lo stanno facendo (27%)  comportamenti per diminuire i propri sprechi in questo senso, mentre il 10% degli imprenditori si è dichiarato pronto a farlo nel prossimo futuro.

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Un terzo delle imprese in Europa ha già modificato, o lo sta facendo, i prodotti o i servizi offerti,  attraverso l’uso di materiali riciclati o riducendo l’uso di materie prime.

Il Lussemburgo risulta essere lo stato più all’avanguardia, con il 54% delle imprese impegnate in tal senso. E se la media dei 28 si colloca a circa il 44% delle aziende che operano in questo modo, l’Italia è invece più indietro. Nel nostro Paese solo il 29% degli imprenditori si è mosso in questa direzione.

Per attenuare la propria “impronta idrica”, nell’Ue un’azienda su 5 ha poi deciso di ripianificare il modo in cui viene utilizzata l’acqua nei propri cicli produttivi  (per minimizzarne l’utilizzo o massimizzarne il riuso). In testa questa volta sono Irlanda e Portogallo, mentre l’Italia – pur non svettando in questa classifica – è uno dei Paesi che ha mostrato la maggiore propensione ad intraprendere misure nel prossimo futuro.

Diverso invece l’approccio per l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili. Se la media delle aziende europee si attesta al 16% – anche qui Paesi più virtuosi sono Austria (38%) e Germania (36%) –  l’Italia è sotto la media. Qui  solo il 14% delle aziende ha adottato questo standard. E non è di nostro conforto nemmeno il dato di Paesi come la Polonia,  in cui appena il 4% delle imprese si è impegnato in questo senso.

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