Dazi Usa sul Made in Italy: allarme e strategie di reazione
Vino, olio, formaggi e pasta a rischio con tariffe al 30%. Filiera unita: serve un’azione diplomatica e mercati alternativi
Il rischio di dazi USA fino al 30% sui prodotti agroalimentari italiani scatena l’allarme di tutto il settore. La decisione dell’amministrazione Trump, che potrebbe diventare effettiva dal 1° agosto, mette in pericolo un mercato strategico da quasi 8 miliardi di euro l’anno per il Made in Italy.
Secondo Cia-Agricoltori Italiani, la misura è “irricevibile” e rischia di generare una guerra commerciale catastrofica. “Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento per il nostro agroalimentare, con un export cresciuto del 158% in dieci anni”, ha dichiarato il presidente Cristiano Fini. “L’Italia può e deve essere capofila in Europa nell’aprire un negoziato con Trump. Se non agiamo, i competitor internazionali si prenderanno quote preziose.”
I prodotti più esposti sono il vino – con gli USA primo mercato mondiale e 1,9 miliardi di euro di fatturato – l’olio d’oliva (32% dell’export destinato Oltreoceano), il Pecorino Romano (il 57% delle vendite estere è verso gli Stati Uniti) e i grandi rossi e bianchi Dop di Toscana, Piemonte e Triveneto. Secondo l’analisi di Nomisma e dell’Ufficio Studi Cia, i dazi rischiano di favorire concorrenti come il Malbec argentino, lo Shiraz australiano e i formaggi sudamericani.
Sulla stessa linea il presidente di Confcooperative Fedagripesca, Raffaele Drei, che chiede a Bruxelles “una posizione ferma e unita per scongiurare l’imposizione dei dazi”. Drei sottolinea la necessità di pensare subito a misure compensative per sostenere la competitività delle imprese. “Serve la massima attenzione al bilancio della futura Pac e un reale sostegno alle filiere agricole. Non possiamo permetterci di lasciare le aziende da sole di fronte a questa sfida.”
Più pragmatica la posizione del Consorzio Vino Chianti. Il presidente Giovanni Busi invita a non piangersi addosso e a trasformare la crisi in un’opportunità: “Apprezziamo la volontà dell’UE di evitare il muro contro muro, ma è il momento di accelerare una strategia di export più ampia”.
Il Chianti guarda a nuovi sbocchi: Sud America, Asia e Africa. “Mercati come Brasile, Argentina e Vietnam – spiega Busi – offrono margini di crescita enormi. Dobbiamo essere presenti con promozione e distribuzione mirate.” Il Consorzio sottolinea come l’accordo Ue-Mercosur possa diventare una leva decisiva per il settore.
Dalla Sardegna, culla del Pecorino Romano, al Veneto del Prosecco, passando per le colline toscane e le aziende dell’olio d’oliva, il sistema agroalimentare italiano si trova a un bivio. Senza una risposta europea coordinata, avvertono le associazioni, si rischiano pesanti danni economici e occupazionali.
Con un valore dell’export agroalimentare verso gli USA pari al 12% del totale italiano (ben più di Germania, Francia e Spagna), l’Italia è il Paese più esposto in Europa. “Ogni giorno perso in trattative inconcludenti – ammonisce Fini – aumenta il rischio di perdere un posizionamento conquistato in decenni di lavoro.”
Intanto, i produttori guardano con preoccupazione al prossimo 16 luglio, quando la Commissione europea presenterà la proposta finanziaria per la nuova Politica Agricola Comune. Un passaggio cruciale per definire risorse e strumenti in grado di sostenere le imprese nel nuovo scenario globale.
Il messaggio delle organizzazioni di categoria è chiaro: difendere l’export e la reputazione del Made in Italy è una priorità. Ma occorre al tempo stesso diversificare i mercati, puntare su qualità e identità culturale, e non lasciare che il protezionismo diventi un ostacolo insormontabile per migliaia di imprese agricole.