Contraccolpo glaciale: la Terra non è poi così stabile
Siamo abituati a pensare la terra sotto i nostri piedi come qualcosa di stabile, di immobile. In realtà non è così. La superficie del nostro pianeta (sia quella emersa, sia quella che fa da fondale ai nostri mari) poggia su uno strato vischioso ad altissima densità: il mantello. L’equilibrio raggiunto fra la crosta e i diversi strati sottostanti nel corso di milioni e milioni di anni è qualcosa di profondamente complesso e talmente interconnesso, che qualsiasi cambiamento, anche minimo, provoca delle vistose alterazioni a tutto il sistema.
Ma cosa accade quando invece la variazione è, come nel caso dello scioglimento dei ghiacciai, velocissima e macroscopica?
Un recentissimo studio della Nasa (l’Ente spaziale statunitense) ha analizzato e messo in comparazione i dati provenienti da oltre 23 anni di osservazioni satellitari finalizzati proprio a monitorare le variazioni del livello dei mari sulla superficie del globo. Un modo per tentare di offrire una risposta al quesito e sviluppare contemporaneamente modelli di previsione attendibili per fronteggiare i cambiamenti che con il surriscaldamento globale interessano e interesseranno il nostro pianeta.
Lo scioglimento dei ghiacci perenni provoca infatti un innalzamento del livello del mare che non si presenta come omogeneo su tutta la superficie marina, ma viene condizionato dalle maree, dalle correnti, dai venti e dalla stessa forza di attrazione gravitazionale che la massa del ghiacciaio produce sui corsi delle acque limitrofe.
Non solo. La stessa massa accumulata del ghiacciaio sulla superficie provoca per il suo peso la depressione di quell’area sul sottostante mantello, condizionando l’equilibrio di stabilità raggiunto dal resto della placca tettonica a cui appartiene.
Come semplificare il concetto?
Quando si riempie un lavandino, sottolineano dalla Nasa, nel recipiente il livello dell’acqua sale della stessa altezza in ogni suo angolo. Questo però non si verifica nel caso dei nostri mari.
Secondo i dati in possesso dell’Ente spaziale americano, negli ultimi 23 anni il livello degli oceani si è innalzato costantemente ad una velocità di alcuni millimetri per anno. Ma se in alcuni luoghi del globo questo fenomeno è stato praticamente ininfluente, in altre zone è stato impossibile non accorgersene.
Ad esempio, sulla costa orientale degli Stati Uniti gli abitanti sono stati investiti dall’evento con una velocità triplicata rispetto ad altre aree del mondo; in Scandinavia invece il mare si è ritirato e chi vive sul delta del Fiume Giallo in Cina da tempo lamenta che lì le acque si innalzano addirittura di oltre 25 cm l’anno.
Come cercare di comprendere e spiegare questo fenomeno che – avvertono gli scienziati – diventerà sempre più importante negli anni a venire?
Quando ad esempio i ghiacci che ricoprono la calotta artica del mare di Amundsen si saranno sciolti completamente – continua la Nasa – il livello del mare si innalzerà di oltre un metro e 20 centimetri. Ma gli effetti non saranno omogenei su tutto il globo. Gli abitanti della costa orientale Usa, ad esempio, dovranno confrontarsi con un innalzamento di oltre 40 o 50 cm in più rispetto ad altre zone, mentre alcuni fondali emergeranno. A condizionare il tutto, sicuramente maree e correnti, ma anche la stessa stabilità della terra su cui abitiamo.
Il riscaldamento globale, avvertono infatti gli scienziati, non sta colpendo solo la superficie del globo, ma sta letteralmente facendo scivolare la terra sotto i nostri piedi. Se infatti siamo abituati a considerare il territorio su cui camminiamo come solido e fermo, dobbiamo ricordarci che già a circa 80 km sotto di noi, esiste un livello, fluido e molto viscoso, su cui lo strato solidificato superficiale poggia. Una conformazione geologica che ci viene empiricamente ricordata ogni volta che erutta un vulcano o si verifica un violento terremoto. Le placche della nostra crosta terrestre galleggiano dunque su questa massa vischiosa, il mantello, un po’ come – continuano per semplificare dalla Nasa – accade per un wafer alla vaniglia poggiato su un budino molto denso. Se si dovesse mettere una fragola sul wafer, la parte del biscotto su cui questa incide affonderebbe automaticamente nel budino. Allo stesso modo, anche le varie masse presenti sulla crosta terrestre come i ghiacciai dell’Artico, della Groenlandia o gli altri sparsi sul resto del globo, hanno nel corso degli anni spinto in basso il mantello del nostro pianeta che è scivolato via, per ingrossarsi altrove.
Inoltre il peso di questi ghiacciai ha anche un altro effetto sugli oceani (che magari non sarebbe possibile vedere nel nostro budino): la sua massa esercita infatti un’attrazione gravitazionale nei confronti delle acque circostanti che tendono così ad accumularsi intorno alle sue coste (e che premono per densità a loro volta sul mantello).
E’ abbastanza intuibile che se un peso extra viene meno, il mantello sottostante subisce un inevitabile contraccolpo. E non dobbiamo pensare solo a grandi fenomeni come la nascita di catene montuose: in realtà questi contraccolpi sul nostro pianeta sono qualcosa che si verifica costantemente. L’armonizzazione di tutte le forze in centinaia di migliaia di anni non ci permette quasi mai però di percepirlo in tutta la sua intensità.
“La superficie terrestre è in grado di rispondere molto rapidamente – quasi istantaneamente – a queste sollecitazioni,” evidenzia Mark Tamisiea, uno degli scienziati del Centro Nazionale di Oceanografia, a Liverpool, in Gran Bretagna, che studia il legame tra il livello dei mari e i processi della Terra. Tamisiea infatti cita l’esempio del rapporto fra le maree e il nostro pianeta. Un processo che lascia asciutta o ricopre la superficie emersa di quasi trenta centimetri ogni volta che le acque interagiscono con la forza gravitazionale legata all’avvicinarsi o all’allontanarsi della massa della Luna. Una forza di attrazione sulle acque che – sottolineano dalla Nasa – viene esercitata anche dalle masse dei ghiacciai e delle calotte polari. Quando queste si sciolgono, questa viene meno, provocando una vera fuga delle acque che le circondavano verso l’Equatore, con conseguenti fenomeni di diversa intensità a livello regionale.
Per monitorare meglio il tutto, nel 2002 l’Ente spaziale americano ha lanciato il programma GRACE (Gravity and Climate Experiment): due satelliti che dallo spazio hanno anche il compito di controllare costantemente le interazioni fra scioglimento dei ghiacciai e alterazione della gravità esercitata sulle masse oceaniche. “Grazie a GRACE – ha dichiarato Steve, capo del team sul Cambiamento dei livelli del mare della Nasa – adesso sappiamo quanto gli innalzamenti delle acque siano legati alla perdita di massa in Groenlandia, quanto a quella dell’Antartide, quanto dipende dai ghiacciai.”
Facendo poi riferimento in particolar modo al Nord America, si evidenziano le problematicità che le repentine perdite di massa dei ghiacciai creano sulla stabilità di questa zona. Quest’area – che di fatto non avrebbe ancora completato il processo di assestamento dell’ultima glaciazione quando 6000 anni fa tutta la superficie del Canada fu coperta, mentre rimasero liberi gli attuali Usa e Messico – si trova infatti adesso ad affrontare una fase pericolosamente altalenante della sua superficie rispetto al mantello sottostante (ricordiamoci i possibili effetti subiti dal wafer che mentre galleggia sul budino perde improvvisamente tutto il peso della fragola su una delle sue estremità).
Per osservare meglio il tutto, una rete GPS ha mappato l’intera Groenlandia proprio per raccogliere dati anche dalla terra “ferma” su come si stia evolvendo questa dinamica. Gli scienziati sono infatti convinti che solo uno studio comparato di tutti questi fattori possa rappresentare una guida efficacie per rappresentare, a livello macro regionale e locale, tutti i possibili scenari futuri. Proiezioni che di fatto potrebbero rivelarsi addirittura vitali per la sicurezza di tutti gli esseri viventi.