Agricoltura: lavoro nero e caporalato la fanno ancora da padroni
Che il lavoro nei campi non fosse leggero si è sempre saputo, ma meccanizzazione e innovazione permetterebbero oggi di affrontare questo comparto in maniera completamente diversa rispetto a quanto accadeva solo cinquanta anni fa. Un mondo diverso, dunque, dove però la componente umana è rimasta fondamentale. Tuttavia proprio sui lavoratori agricoli si continuano ancora oggi a registrare irregolarità talmente pesanti da far fare al nostro Paese un vero e proprio balzo indietro, riportandoci a scenari che rendono quasi idilliaco quanto mostrato dal regista Giuseppe De Santis in “Riso Amaro”.
Secondo la Direzione generale del lavoro, infatti, nel 2013 solo in Puglia è risultata in nero più della metà dei lavoratori delle aziende sottoposte ad ispezione, con stipendi che – oneri fiscali a parte – non raggiungevano nemmeno la metà di quanto previsto dai regolari contratti.
Una situazione indubbiamente favorita dalla presenza dei grandi flussi migratori e dalla disperata condizione di tante persone disposte ad accettare un lavoro a qualunque costo, condizionando al ribasso tutto il comparto e rimanendo loro stesse vittime di fenomeni di vero e proprio caporalato.
Il problema è stato affrontato, fra gli altri, anche dal Comitato parlamentare di controllo degli accordi di Schengen che ha chiamato in audizione il Ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, per capire come si stia muovendo il Governo per arginare quella che è diventata una vera e propria piaga sociale. In particolare il Comitato evidenziava che a fronte di un consistente numero di richieste evase dagli sportelli unici per l’immigrazione per il rilascio di visti concessi per il lavoro agricolo, non ci sia poi stata la trasformazione di questi nullaosta in regolari contratti di lavoro. Ed i numeri portati a Montecitorio dal Ministro Martina fanno supporre che il problema sollevato sia più di un semplice sospetto.
Il rapporto più recente di INEA, pubblicato alla fine del 2014 ma con dati relativi al 2012, mostra in agricoltura un aumento occupazionale dei lavoratori pari a 36 mila unità. Di questi solo un 15% (4500 unità) hanno riguardato i cittadini stranieri extracomunitari (censiti in 143.320 unità totali), mentre un altro 18% ha interessato i lavoratori stranieri dell’Unione europea (censiti in 125.340 unità).
A fronte di questa situazione il Governo, come sottolineato dallo stesso Ministro, ha comunque approvato un insieme di misure che, compenetrandosi con quanto già disposto a livello europeo, cercano di penetrare con maggiore incisività il settore agricolo per consolidare e rendere effettivo il rispetto del principio di dignità del lavoro e renderlo non trattabile.
In particolare sul piano nazionale, su proposta del Ministero delle Politiche agricole, è stata istituita la Rete del lavoro agricolo di qualità (prevista dall’art.6 del decreto legge 91/2014 e operativa dal 16 febbraio scorso), composta dalle organizzazioni sindacali, da quelle professionali, dai Ministeri interessati (Agricoltura, Lavoro ed Economia) nella Conferenza delle regioni, la cui presidenza è stata assunta dall’INPS. Uno strumento che, anche se in fase sperimentale, ha l’intento di valorizzare e rendere riconoscibile il ruolo delle imprese agricole in regola con gli adempimenti nei confronti dei lavoratori.
Il virtuosismo del meccanismo d’accesso, (possono entrare nella Rete solo quelle aziende che dimostrino di essere perfettamente in regola dal punto di vista contributivo) garantisce però l’impresa, che vede poi con l’amministrazione di controllo una semplificazione del rapporto e delle verifiche. Un percorso ancora in fase sperimentale, ma che vede il Mipaaf orientato a predisporre ulteriori meccanismi di premio per chi deciderà di aderire.
L’iniziativa potrebbe poi suscitare un consumo più consapevole da parte del cittadino.
Già alcune catene della grande distribuzione fanno infatti riferimento a certificatori esterni per garantire che i prodotti venduti sugli scaffali dei propri supermercati provengano da aziende che rispettino i principi etici a garanzia dei lavoratori, indicandolo spesso in etichetta.
L’introduzione di un certificatore pubblico su base nazionale permetterebbe ad ogni azienda di distinguersi per eticità soprattutto agli occhi del consumatore.
Un meccanismo introdotto invece a livello europeo e reso più stringente nella recezione nazionale, è quello relativo ai pagamenti diretti in ambito agricolo. L’art 11 del regolamento 1307 del 2013, ha previsto infatti che la riduzione dei pagamenti, il cosiddetto capping, di almeno il 5%, venga effettuato per gli importi superiori ai 150mila euro, ma che tale importo venga calcolato escludendo i costi e gli oneri sostenuti per i salari necessari all’esercizio dell’attività agricola, comprensivi di imposte e oneri sociali sul lavoro. Una disposizione che, come detto, il Mipaaf ha accentuato con decreto ministeriale (n. 6513) cercando di veicolare fra le imprese il concetto: più paghi, (e quindi più sei in regola), più sconti.