domenica, Aprile 20, 2025
Agricoltura

Green Deal e Climate Change al centro della 76.a assemblea Fruitimprese

L’anno 2024 ha segnato un nuovo record per le esportazioni italiane di ortofrutta fresca che hanno superato per la prima volta i 6 miliardi di euro di valore (6,056 mld di euro per la precisione) con un incremento del 5.3% rispetto al 2023, risultato confermato anche dai dati in volume con un export di 3.751.017 tonnellate (+9% rispetto all’anno precedente).

Il presidente di Fruitimprese, Marco Salvi

Lo ha sottolineato nella sua relazione alla 76esima assemblea annuale di Fruitimprese, il presidente Marco Salvi che però ha anche tracciato un quadro preoccupante del settore ortofrutticolo tra guerre, tensioni internazionali, nuovo corso della Commissione Europea ed altri problemi ormai atavici di questo comparto, in primo luogo quello della progressiva riduzione delle sostanze a disposizione per contrastare i danni provocati dal cambiamento climatico e dall’attacco dei parassiti.

I dati sull’export testimoniano comunque di un settore in buona salute che continua a creare occupazione e produrre valore aggiunto, nonostante una situazione internazionale molto complicata; se infatti le manovre protezionistiche di Trump non incideranno in modo decisivo sul nostro export (per il prodotto fresco le nostre esportazioni valgono circa 42 mln di euro di kiwi),  il conflitto in Medio Oriente e gli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso stanno minando pesantemente le nostre spedizioni verso l’India e il Sud Est Asiatico di mele e kiwi, prodotti che mal si prestano a soluzioni alternative troppo lunghe e costose, come la circumnavigazione dell’Africa o il trasporto misto mare-terra.

Per quanto riguarda la politica europea, Salvi, riprendendo due frasi dalla “Vision”, il documento che rappresenta il punto di vista della Commissione UE per il settore agricolo e alimentare (“La Commissione valuterà con attenzione ogni ulteriore divieto di pesticidi se non saranno disponibili alternative in tempi e costi ragionevoli”; ai pesticidi dannosi vietati nella UE non dovrebbe essere consentito di rientrarvi con le importazioni”), ha sottolineato che “queste sono le prime frasi di buon senso ed a favore dell’agricoltura europea che abbiamo sentito da un po’ di tempo”.

“Solamente il domani ci dirà se anche queste parole, come i principi enunciati nella strategia Farm to Fork, di cui stavamo per vedere applicati solamente quelli di matrice ideologica, si concretizzeranno o meno in fatti concreti – ha sostenuto Salvi –  ma, mentre si compiono importanti passi avanti per le TEA, le premesse perché questa estate i contadini europei possano restare a coltivare i propri campi, anziché fare una trasferta non programmata a Bruxelles ci sono tutte”.

Salvi ha sottolineato che, senza dubbio, il cambiamento climatico e le politiche in tema di difesa ambientale segneranno il futuro del nostro settore, sia nell’immediato che a lungo termine. “L’approccio della precedente legislatura europea all’argomento si è dimostrato senza dubbio fallimentare, Il taglio lineare proposto all’uso degli agrofarmaci, dapprima imposto e poi frettolosamente ritirato, sotto le pressioni di chi di agricoltura vive ogni giorno, ha lasciato un foglio bianco che dobbiamo scrivere tutti assieme. La difesa della salute delle persone e le politiche di contrasto all’inquinamento devono essere i pilastri su cui costruire la politica economica e quella agricola in particolare, ma non a tutti i costi, bisogna tenere in considerazione tutte e tre le declinazioni della sostenibilità, che oltre che ambientale deve essere economica e sociale”.

“Da alcuni anni si è deciso di mettere sul banco degli imputati quelli che noi preferiamo chiamare agrofarmaci anziché pesticidi, perché, analogamente all’azione dei farmaci per l’uomo, servono alle piante per combattere e prevenire le fitopatie e l’attacco degli insetti. Da questo punto di vista posso affermare senza tema di smentita – ha detto Salvi – che nessun agricoltore ha piacere ad usare gli agrofarmaci, ne farebbe sicuramente a meno, se non altro per una motivazione economica. La strategia Farm To Fork aveva individuato nel ricorso al biologico la soluzione del problema; premesso che, come Fruitimprese, non abbiamo nulla contro questo metodo di coltivazione, anzi molti di noi lo utilizzano come punto di forza della propria gamma di prodotti, i fatti stanno dimostrando che di solo bio non si può vivere, per una questione di rese e di terreni idonei disponibili”.

“Noi italiani siamo i pionieri della lotta integrata e non siamo mai stati per l’uso indiscriminato degli agrofarmaci – ha continuato il presidente di Fruitimprese – lo dimostrano ogni anno i dati dell’EFSA: nel nostro Paese il 99,5% dei prodotti risultano a norma, con il 65,6% che non presenta residui rilevabili. Insomma, la carta di identità dei produttori italiani è chiara, come deve essere chiaro che questo comparto per continuare ad esistere ha bisogno di imprenditori che investano in nuovi impianti e nuove varietà. In economia non esiste un settore dove le regole del gioco cambiano così rapidamente come quello agricolo, non possiamo chiedere di investire in impianti che ci mettono mediamente 3-5 anni ad andare in produzione quando non sappiamo su quali molecole potremo fare affidamento”.

“La parola d’ordine delle politiche europee in questo ambito deve essere reciprocità”, ha proseguito Salvi “sia nei confronti dei prodotti di importazione, a cui, in caso di messa al bando degli agrofarmaci vengono concessi due anni di tempo per adeguarsi, sia per quanto riguarda le autorizzazioni in deroga. Se un prodotto è autorizzato e utilizzato in uno Stato Membro, lo deve essere automaticamente anche in quelli in cui si pratica la stessa coltivazione”.

“Il futuro del nostro settore è molto incerto, quello che sta succedendo nel comparto pere, un tempo nostro fiore all’occhiello, potrebbe accadere anche per altri prodotti, è tempo di mettere mano con serietà e responsabilità al dossier agrofarmaci”, ha ribadito Salvi, sottolineando che  “dobbiamo evitare una delocalizzazione della nostra produzione ortofrutticola, verso paesi come la Grecia, dove gli italiani stanno già investendo nella coltivazione del kiwi con l’acquisto di aziende agricole o joint venture con imprese locali e dove la manodopera costa una frazione di quanto viene pagata in Italia, per non parlare del Nord-Africa, con gli agrumi, i pomodori e le fragole marocchine che si presentano sul mercato nel bel mezzo delle nostre campagne”.

Il Presidente di Fruitimprese ha posto poi l’attenzione su alcune problematiche che da anni interessano il settore: in primo luogo quella dei consumi, che, seppur sostanzialmente stabili nel 2024, non riescono a recuperare i 15 punti percentuali perduti negli ultimi 5 anni. Qui, accanto alla importante iniziativa per il sostegno del consumo della frutta a guscio organizzata da ISMEA assieme alla nazionale di rugby, ne serve una istituzionale che riporti frutta e verdura sulle tavole delle famiglie, perché, ha ricordato Salvi, ogni euro speso in cibo spazzatura, ne costa due per il sistema sanitario nazionale.

Parlando di logistica e imballaggi, Marco Salvi ha sottolineato la delusione per la definitiva approvazione del regolamento sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio, conosciuto come PPWR che, salvo deroghe, vieta l’uso di imballaggi in plastica al di sotto del chilo e mezzo per l’ortofrutta. Il testo della nuova norma non solo penalizza inspiegabilmente un settore che rappresenta solamente l’1,5% dell’imballaggio in plastica utilizzato nel settore agroalimentare, ma promette di diventare, se non vi si pone rimedio, una barriera interna al commercio tra i paesi dell’Unione Europea. Se infatti ogni Stato stabilirà deroghe diverse al divieto per la plastica, saremo costretti a cambiare tipologia di imballo in base al paese di destinazione.

Il Presidente di Fruitimprese ha concluso il suo intervento parlando della crisi della manodopera. “L’agricoltura italiana, che per tanti anni ha potuto contare sulla manodopera specializzata nazionale o proveniente dall’Est, sta perdendo progressivamente e inesorabilmente personale, i fattori sono molteplici, sicuramente non siamo un settore con un grande appeal tra i giovani, inoltre le maestranze rumene, bulgare e polacche ora preferiscono i paesi del Nord Europa dove la tassazione è più chiara e immediata.  Tante aziende si sono rivolte ai lavoratori provenienti dall’Africa, a cui stiamo insegnando il mestiere tra mille difficoltà linguistiche e religiose, ma anche culturali e di rispetto del prodotto, tanto che non è raro sentire di aziende che rinunciano a certe pratiche agronomiche per la mancanza di personale in grado di portarle a termine nel modo corretto. Probabilmente bisogna affrontare la questione abbandonando i soliti steccati che dividono datori di lavoro e sindacati. Una cosa è certa – ha concluso Salvi – il problema va affrontato, ne va del futuro di uno dei settori a più alta concentrazione del fattore umano”.

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