martedì, Dicembre 3, 2024
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FBI, un nuovo metodo per misurare la salute del terreno

Sono passati ormai più di quattro anni da quando la Commissione europea presentava la Strategia per la Biodiversità 2030, un ambizioso piano a lungo termine nel contesto del Green Deal volto a proteggere la natura negli Stati membri e invertire il progressivo, grave degrado degli ecosistemi naturali (aree terrestri, marine, lacustri o fluviali).

Diverse le misure agro-ecologiche indicate per raggiungere l’obiettivo di salvaguardare almeno il 30% di tali aree: 

  • Almeno il 25% dei terreni agricoli coltivato biologicamente (in Italia il nuovo Piano d’Azione Nazionale per l’Agricoltura biologica ha anticipato i tempi al 2027);
  • Almeno il 10% dei terreni agricoli destinato in elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità;
  • Ridurre del 50% dell’uso dei fitofarmaci più dannosi per ambiente e salute umana;
  • Ridurre del 50% le perdite di sostanza organica del suolo;
  • Ridurre del 20% l’uso dei fertilizzanti;
  • Piantare 3 miliardi di alberi aggiuntivi rispettando i principi ecologici (che significa anche più siepi e filari tra i campi agricoli)
  • Redigere delle specifiche strategie nazionali entro il 2024.

Purtroppo, a pochi mesi dalla scadenza pochi Stati membri hanno redatto piani d’azione specifici: Danimarca, Francia, Germania, Lussemburgo, Spagna, Svezia e Italia.

Oltre all’elaborazione della Strategia, però, il nostro Paese può contare su un altro strumento, che grazie al lavoro di circa 150 tra tecnici, consulenti scientifici, volontari e rilevatori utilizza le variazioni nel numero di uccelli che frequentano le aree agricole per studiare l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente: il Farmland Bird Index (FBI).

Realizzata in collaborazione tra MASAF – Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle ForesteLIPU – Lega Italiana Protezione Uccelli e Rete Rurale Nazionale, l‘analisi alla base del FBI è attiva sin dal 2009 e ad oggi copre un periodo di vent’anni, dal 2000 al 2023. 

Essa si basa sul presupposto che gli uccelli, soprattutto le specie comuni nidificanti, sono ottimi indicatori ecologici, e ciò grazie ad alcune loro caratteristiche peculiari: sono animali sensibili ai cambiamenti ambientali, sono facilmente contattabili soprattutto nel periodo riproduttivo (quando mostrano comportamenti territoriali evidenti, tra cui il canto), permettono il monitoraggio degli habitat su larga scala e, occupando livelli alti della catena alimentare, riflettono i cambiamenti subìti anche da altre specie animali. Per questo il loro stato di conservazione è strettamente correlato con la nostra qualità della vita.

Proprio di recente sono stati presentati i dati FBI riferiti al 2023: dati che, sia a livello nazionale che a livello delle singole Regioni, segnano un peggioramento rispetto a quelli del 2022 per ben 20 delle 28 specie prese in esame: oltre il 70% del totale.

I dati del FBI suddivisi per zone ornitologiche (dati del 2023 rispetto al 2000). Fonte: MASAF – LIPU – Rete Rurale

La rilevazione registra inoltre un calo medio pari al 36% nella presenza degli uccelli in ambienti rurali e di una perdita che raggiunge il 50% in pianura; molto colpiti anche gli ambienti mediterranei collinari, specialmente del Centro e del Sud.

Andando più in profondità, il FBI evidenzia che l’agricoltura intensiva degli ultimi decenni, la conseguente banalizzazione dei paesaggi agricoli e l’uso dei prodotti chimici ha portato al crollo di specie in passato molto presenti negli ambienti rurali: specie come la rondine (-51%), l’allodola (-54%) o la passera d’Italia (-64%) sono più che dimezzate e ce sono altre che rischiano quasi l’estinzione; tra queste il torcicollo e il calandro (-78% per entrambe le specie), seguite dall’upupa, l’usignolo, il cardellino, il verzellino e l’ortolano.

Secondo Federica Luoni, responsabile del settore agricoltura della LIPU, «nonostante il quadro negativo le possibilità di ripresa ci sono, in particolare in quelle aree agricole dove la produzione è meno intensiva e industriale, e dove la biodiversità ancora è presente. Per questo è importantissimo incentivare le misure naturalistiche, in Europa e in Italia, dalle quali l’agricoltura non può che trarre beneficio in termini di salute del suolo, presenza di impollinatori, ricchezza dei servizi ecosistemici, qualità del cibo e del paesaggio. Il futuro è questo».

Tra queste misure, importantissime sono il Green Deal e quelle a sostegno della transizione ecologica, che cercano di conciliare le esigenze della produzione agricola con la tutela della biodiversità. In questa direzione si muove anche il regolamento che nel giugno scorso il Consiglio europeo ha approvato, primo nel suo genere, sul ripristino della natura. 

Il regolamento mira a mettere in atto misure per ripristinare l’ambiente naturale almeno nel 20% sia delle zone terrestri sia di quelle marine dell’Ue entro il 2030, oltre che tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. Con questa norma può essere possibile ridare spazio alla biodiversità prevedendo il ripristino di ambienti andati distrutti (elementi del paesaggio, zone umide di pianura) e rafforzare la Politica Agricola dell’Unione Europea (PAC) in difesa dell’ambiente, un supporto per iniziare ad invertire il trend negativo che i dati riportati dall’ultimo FBI indicano. 

La prova che non solo conservazione della natura e produzione agricola possono convivere, ma che l’agricoltura può essere la chiave per tutelare uno dei nostri beni più preziosi: il paesaggio.

Autore

  • Silvia Gravili

    Nata nell’81, dopo la laurea magistrale conseguita con lode e un dottorato di ricerca su sviluppo territoriale, turismo, sostenibilità e valorizzazione dei prodotti tipici delle filiere agroalimentari e artigianali, si è specializzata in Social media management. Esperta di comunicazione istituzionale, relazioni pubbliche e comunicazione di sostenibilità, attualmente svolge la sua attività al CIHEAM, l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari.

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