domenica, Novembre 24, 2024
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Le Terre di Cosenza Dop a scuola d’enoturismo

 I vini Dop Terre di Cosenza sono stati protagonisti martedì 5 dicembre, dell’evento e della cena pre-natalizia organizzata dal Gist Lazio (Gruppo Italiano Stampa Turistica) all’Unahotels Decò Roma; alla presenza del direttore del Consorzio di tutela, Gennaro Convertini. In degustazione le bollicine, i bianchi, i rosati e i rossi di 12 cantine del territorio Cosentino, con 12 etichette in abbinamento ai piatti della serata, preparati dallo chef Nello Grande de “Il Grande Gatsby”, il ristorante dell’albergo.

da sin. – Sandro Marini (Pres. Gist Lazio) Sabrina Talarico (Pres. GIST) Gennaro Convertini (Consorzio Terre di Cosenza DOP)

“Ringraziamo il Gist per averci dato questa bella vetrina con i media e gli operatori di settore per presentare i nostri vini, le cantine, ma soprattutto la ricchezza enoturistica del Cosentino” ha sostenuto il presidente del Consorzio Terre di Cosenza Dop, Demetrio Stancati. “Il nostro è un territorio molto eterogeneo, affacciato su due mari, il Tirreno e lo Jonio, collinare e montagnoso, con alte vette come il Pollino, la catena dell’Orsomarso e l’altopiano della Sila verso sud. Il Cosentino – ha detto ancora Stancati – è un esempio di varietà territoriale: microclimi, suoli, esposizioni e paesaggi sempre diversi e sorprendenti, ricco anche di eccellenze agroalimentari, specialità esclusive come il cedro liscio di Diamante, il pomodoro a cuore di bue di Belmonte Calabro, la melanzana violetta di Longobardi, il fico dottato Cosentino”. “E poi i nostri vini da vitigni autoctoni, i bianchi pecorello e greco, i rossi magliocco e gaglioppo, per citare le varietà più note, simboli enologici di un settore ormai maturo per una nuova sfida: trasformare la Calabria in una destinazione enoturistica di primo piano – ha concluso il presidente del Consorzio – con l’accoglienza e la qualità dell’offerta delle nostre cantine, alcune già dotate di servizi di ristorazione e pernottamento di ottimo livello”.

Le Terre di Cosenza DOP (Denominazione di Origine Protetta) sono caratterizzate, oltre che dalla varietà dei vitigni autoctoni, da 7 sottozone che corrispondono alle 7 Doc unificate con il disciplinare del 2011 e con la fondazione del Consorzio Terre di Cosenza Dop nel 2014, che ha sostituito l’ex consorzio Vino Calabria Citra e rivisto le regole di produzione per mettere mano a un sistema di denominazioni ormai obsoleto, allora organizzato attorno a piccole e frammentate Doc, difficili da comunicare e in qualche caso non più produttive. Il lancio enoturistico delle Terre di Cosenza Dop è la nuova fase del progetto “Local Wine Experience”, un piano di formazione professionale da poco concluso, sostenuto da risorse regionali ed europee, co-finanziato dai produttori, e rivolto a 250 operatori del canale ho.re.ca. (hotel, ristoranti, catering, botteghe del gusto, enoteche), a 300 studenti di 11 istituti alberghieri, a 50 fra giornalisti, food blogger e influencer calabresi; quest’ultimi coinvolti lo scorso giugno in un viaggio stampa formativo sul territorio e fra le 32 cantine del Consorzio Terre di Cosenza Dop (www.terredicosenza.it).

Il Terre di Cosenza Dop tra cru e sottozone

Oggi la “piramide della qualità” delle Terre di Cosenza vede un segmento base di vini da vitigno internazionale (per i rossi in uvaggio con una presenza minima di magliocco del 60%). Nel segmento superiore troviamo i vini da monovitigno, a seguire le 7 sottozone della ex Doc, con i nomi dei rispettivi territori, che sono: Condoleo, Colline del Crati, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi e Verbicaro. Ai vertici della piramide troviamo il Magliocco (con o senza indicazione della sottozona), il vitigno a bacca rossa più diffuso e identificativo del territorio Cosentino; prodotto da tutte le cantine con rese di max 90 quintali/ettaro (contro i 110 delle altre tipologie), con grado alcolico e tempi di maturazione e affinamenti più elevati. Per i produttori c’è, infine, la possibilità di indicare in etichetta il nome della vigna fra 132 “cru” sparsi divisi tra le 7 sottozone, toponimi come “Montino” nel caso della sottozona Esaro, nel comune di Altomonte, o “San Bartolo” nella sottozona di Verbicaro.

Il Terre di Cosenza Dop è una piccola denominazione in forte crescita: nel 2020 valeva 2.800 ettolitri di vino certificato Dop, nel 2021 circa 4mila e nel 2022 oltre 7mila, quasi raddoppiato. La superficie vitata a Dop è passata invece dai 126 ettari del 2018, ai 140 del 2020 fino a oltre 175 ettari nel 2022; a inizio anno si conosceranno i dati produttivi del 2023, ma le stime sono date ancora in positivo.

In questo trend di crescita è il vitigno magliocco a fare la parte del leone, la varietà su cui si sono concentrati gli sforzi maggiori per identificarlo al territorio Cosentino; un obiettivo raggiunto nel canale della distribuzione ho.re.ca. Su 3.500 ettari vitati della provincia di Cosenza oltre la metà sono di magliocco dolce. I bianchi, invece, hanno seguito un’evoluzione diversa. Storicamente utilizzati insieme alle uve rosse, sono stati valorizzati in anni più recenti e oggi rappresentano il 30% del vino Dop, comunque un altro dato in crescita vista la tendenza odierna a vinificarli in purezza; un nuovo corso guidato soprattutto dal pecorello, il vitigno autoctono di Rogliano che sta facendo da apripista alla rinascita bianchista del territorio Cosentino. Si aprono, però, interessanti prospettive enologiche anche per la guarnaccia del Pollino e per il mantonico, una varietà “importata” dal Reggino.

La viticoltura Cosentina interessa una fascia altimeosentitrica tra i 300 e i 700 metri slm, ricca anche di “vitigni reliquia”, alcuni iscritti da poco nel registro delle varietà. Ad esempio, “grappoli” a bacca rossa conosciuti col nome di greco, arrivati in un lontano passato dalla Grecia, che in realtà le analisi molecolari hanno identificato con varietà diverse, adesso ribattezzate con nomi di fantasia: il grecarese di Verbicaro, il negrellone nero di Montepaone, il balbino di Altomonte, citato da Plinio il Vecchio nel Naturalis Historia. E ancora: il lagario di Sibari, il mantonico nero ribattezzato brettio nero e tra i bianchi il pujno e la duraca; quest’ultimo un clone di zibibbo dell’alto Tirreno cosentino, impiegato anche per altri prodotti gastronomici come il Panicello di Santa Maria o di Verbicaro, un “fagottino” di uvetta passa avvolto in foglia di cedro. Antichi vitigni che al momento hanno un valore di “banca dati genetica” ma che presto potrebbero entrare in produzione; tra i prossimi a essere iscritto il montonico pinto, già da alcuni vinificato.

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