Fra “polta” e “simposio”, alla scoperta della storia del nostro cibo
Quale eredità ci ha lasciato l’alimentazione dei nostri avi e come cambiò con l’espansione di Roma? “Mediaquattro” ne ha parlato con lo storico Giorgio Franchetti, che ha dedicato varie pubblicazioni a questo argomento.
Giorgio Franchetti, storico e saggista, si interessa di storia romana da decenni. Si è formato in storia ed archeologia presso l’Università della Tuscia, ha collaborato e preso parte a documentari di importanti tv del settore storico documentaristico, da Ulisse di Alberto Angela a The National Geographic Channel. Con lui, autore tra gli altri del saggio “A tavola con gli antichi Romani”, abbiamo parlato – appunto – della cucina dei nostri avi, della loro alimentazione e della loro “cultura a tavola”.
- Mentre il nostro Paese punta al riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità, secondo lei qual è l’eredità che ci ha lasciato l’antica alimentazione romana?
La nostra alimentazione è molto lontana da quella dell’antica Roma. I primi Romani erano principalmente vegetariani. La loro dieta era incentrata sui cereali, primo tra tutti il farro, che veniva ridotto in farina con cui si realizzata la “polta”, una polenta arricchita con quello che la giornata metteva a disposizione: ortaggi, bocconcini di carne, pesciolini.
- Come cambiò l’alimentazione con l’espansione di Roma?
Fu il contatto con la Magna Grecia a insegnare ai Romani che l’olio poteva essere usato a scopi alimentari, e questo vale anche per gli Etruschi. Prima i nostri antenati condivano le insalate solo con l’aceto e per questo erano chiamate “acetaria”. Più i confini di Roma si allargavano, comprendendo territori molto diversi e con produzioni alimentari proprie, più si arricchivano le tavole dei Romani. La “romanizzazione” non è stata solo un processo di esportazione del modello romano ma anche un’osmosi culturale, dove Roma ha “preso” in prestito e fatti propri modelli di “altri”. Certamente le tavole dei più facoltosi potevano vantare una maggiore possibilità di diversificazione, e questo è forse il dato che ci accomuna con i nostri antenati. L’impero è stato una sorta di globalizzazione, dove le merci si spostavano con relativa facilità da un capo all’altro e circolava una sola moneta.
Giorgio Franchetti accanto ad Alberto Angela-Ulisse 2013 – Sito G. Franchetti
- Nel suo recente libro “A tavola con gli antichi romani” ha parlato della frugalità dell’alimentazione delle prime popolazioni romane. Cosa ne è rimasto nella nostra alimentazione di oggi?
La frugalità dei primi romani in certi casi restò anche nelle abitudini alimentari di personaggi di spicco della tarda repubblica e dell’impero. Alcuni imperatori non amavano gli eccessi a tavola, così come filosofi e pensatori. Si trattava cioè di un modello di vita da imitare, mai superato, perché si rifaceva a una sorta di “epoca aurea”. Di questa mentalità oggi resta poco nella nostra maniera italiana di mangiare, salvo per chi segue propri precetti alimentari particolari.
- I veri maestri del banchetto allora chi furono?
I veri maestri del banchetto e del simposio rituale furono gli etruschi, di cui ho parlato nel mio recente libro “A tavola con gli Etruschi”, coloro che lo portarono agli estremi certamente i Romani. Il simposio era diviso in due momenti separati del pasto conviviale ritualizzato, con il sundeipnon che era il momento dedicato al solo mangiare e il symposion che invece era il momento dedicato al solo bere il vino. A Roma rimase la divisione ma con nomi diversi. Si tratta di una pratica mutuata dai Greci e che affonda davvero nelle usanze più antiche fino all’epoca omerica. Per i romani il banchetto fu un momento di esaltazione della propria posizione sociale. Una sorta di ufficio di rappresentanza dove la regola fondamentale era: stupire gli ospiti affinché il giorno seguente ne parlassero con altri. Per questo erano di scena piatti dall’aspetto assolutamente insolito e a base di alimenti particolari, arrivati chissà da dove, magari a volte anche dannosi.
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