Le dimissioni “impossibili” di Piantedosi e Valditara
In un qualsiasi governo della prima, seconda… terza e quarta Repubblica ministri come Matteo Piantedosi e Giuseppe Valditara sarebbero stati invitati a tornarsene a casa avendo inanellato, in soli cinque mesi, un rosario di scempiaggini.
Il Ministro dell’Interno addirittura ha avuto la sfortuna di esordire con il rave party di Modena con un inutile decreto, in parte poi emendato, che introduce un reato che attentava ai diritti di libertà, per continuare con la guerra alle ONG e definire i migranti salvati da quelle navi un “carico residuale”.
Ed ora – ultima perla – il naufragio di un barcone a cento metri dalle coste calabresi con decine di morti, fra cui anche diversi bambini, e molti dispersi, sul quale sta indagando la Procura della Repubblica perché, evidentemente, qualcosa non ha funzionato nella catena dei soccorsi che avrebbe registrato un buco di almeno 6 ore.
Eppure, Piantedosi sembra inamovibile come il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, già nella bufera per alcune dichiarazioni sui giovani, e fautore di un metodo “educativo” basato sulla loro “umiliazione”, ed ora “in trincea” per aver criticato la lettera di una preside sul pericolo del ritorno di un’ideologia fascista e minacciandole provvedimenti.
Ma perché questi due ministri, che in altri governi, sarebbero statti costretti a dimettersi, sono ancora al loro posto? Forse – ma toglierei il forse – perché in quota Lega che in questo governo, nonostante il magro risultato elettorale, sembra farla da padrone.
Piantedosi in particolare è la costola…destra di Salvini che, quando era Ministro dell’Interno se lo è “capato fior da fiore” e ne ha fatto il suo capo di gabinetto.
Ma facciamo un po’ di storia. Subito dopo il 25 settembre dello scorso anno, tutti abbiamo immaginato il segretario della Lega – smaltita oramai la sbornia del Papeete – addormentarsi sognando di tornare al Viminale. Anche per rinfrescare il guardaroba di felpe che hanno caratterizzato il suo “essere” ministro. Così non è stato ma la Premier gli ha concesso di scegliersi, lui, il suo successore. E chi se non il fedele cane da guardia della “tana” leghista?
Piantedosi è indubbiamente meno politico di Salvini e più… “questurino” pur provenendo dalle prefetture: napoletano di 60 anni ma “formatosi” nelle prefetture di Bologna e prima ancora, sia pure per appena quattro mesi, di Lodi dove si “abbevera” con le acque dell’Adda, uno degli affluenti del Po, fiume caro a Bossi e ai leghisti della prima ora.
Con questo curriculum Giorgia Meloni non lo può rimuovere senza rompere con Salvini e quindi con la sua maggioranza. Così come le resta difficile farlo con quel Valditara, autore di una pubblicazione nella quale si afferma che l’Impero romano sarebbe stato distrutto dai migranti e sostenitore in un successivo libro di una tesi che paragona il sovranismo ad una speranza per la democrazia.
Eppure, la Premier – se vuole durare – paradossalmente dovrebbe creare un incidente in Parlamento (i Donzelli non le mancano), ottenere lo scioglimento del Parlamento e ripresentarsi alle elezioni da sola con Fratelli d’Italia. Ora, non tra un anno! Vincerebbe a mani basse decretando la fine di Berlusconi e di Forza Italia, nonché la marginalizzazione della Lega con la morte politica di Matteo Salvini.
Un sogno? Forse, ma… “Audentes fortuna iuvat”.