giovedì, Novembre 21, 2024
Agricoltura

Tabacco: chiesto un “tavolo” tra istituzioni e filiera

E’ necessario, secondo la CIA, per la riforma sulle accise. Col mancato rinnovo degli accordi tra multinazionali e produttori è a rischio la chiusura delle aziende agricole. Pesanti le ricadute sociali per un indotto di 40mila lavoratori

L’auspicabile riforma delle accise sui prodotti da fumo veda protagonisti tutti gli attori della filiera, in primis gli agricoltori. E’ questo l’auspicio di Cia-Agricoltori Italiani, che chiede l’apertura di un tavolo di confronto fra le istituzioni e tutti gli operatori del settore, con l’obiettivo del rinnovo degli accordi pluriennali fra le multinazionali e i produttori agricoli, sotto l’egida del Ministero delle politiche agricole.

Le multinazionali si impegnino ad acquistare, dunque, tabacco italiano e a non aumentare l’import da Paesi dove viene prodotto in precarie condizioni sociali e ambientali (Zimbabwe, Malawi, Brasile). Attualmente il mercato del tabacco vale in Italia 2,5 miliardi, 142 milioni dei quali rappresentano la redditività complessiva per l’agricoltura nazionale. A livello produttivo l’Italia è –con ampio margine- il primo Paese produttore comunitario e si colloca fra i primi dieci al mondo.

Il comparto ha, recentemente, messo in moto un importante processo di innovazione, anche grazie all’alleanza con il mondo della ricerca e delle università. Sono aumentate le dimensione medie aziendali, che hanno favorito gli investimenti tecnologici e un elevato tasso di meccanizzazione, producendo un forte incremento del livello di produttività nell’arco di pochi anni (+160%), oltre a un notevole risparmio di risorse idriche. Gli accordi pluriennali con le multinazionali del settore hanno, quindi, giovato sia al settore primario che alla qualità del prodotto.

Secondo Cia, un loro stop e il conseguente ridimensionamento produttivo, porterebbe a un sicuro impoverimento economico, con pesanti ricadute sociali. Oggi il tabacco è coltivato soprattutto nelle aree dell’Altotevere e del Lazio, oltre al Casertano, la Bassa veronese e la Val di Chiana, territori che hanno trovato nella produzione di questo prodotto un livello di specializzazione straordinario, volano economico per tutto l’indotto, che impiega 40mila lavoratori e registra una percentuale di occupazione femminile molto superiore alla media nazionale.

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