In Giappone KO la barriera corallina
di Gianluca De Angelis
Dopo gli aggiornamenti decisamente poco incoraggianti che arrivavano l’anno scorso dal Giappone, secondo un nuovo studio del Ministero dell’Ambiente nipponico la barriera corallina giapponese sarebbe irrimediabilmente compromessa. I dati sono stati pubblicati sul Japan Times e mostrano come solo l’1,4% della zona della laguna di Sekisei sia ancora in condizioni accettabili: il resto della barriera, invece, non dà alcun segno di miglioramento ed è quasi del tutto colpita dallo sbiancamento.
La più grossa ondata di distruzione è avvenuta nel 2016, e da allora i coralli non si sono più ripresi: ma di cosa stiamo parlando esattamente?
Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno distruttivo che colpisce tutte le barriere coralline, e si verifica quando i coralli sono sottoposti a qualche forte forma di stress: in questi casi, infatti, essi espellono le zooxantelle, alghe che vivono nei loro tessuti (e, letteralmente, imbiancano), andando anche ad intaccare la simbiosi che si va a creare con i polipi. Tra le cause di maggiore diffusione emerge soprattutto quella del riscaldamento globale e dell’innalzamento della temperatura dell’acqua in alcune aree, ma non solo: lo sbiancamento può essere reso ancora più distruttivo anche dal cambiamento della composizione chimica dell’acqua o dal suo inquinamento, dal cambiamento delle correnti (che modificano il loro percorso spesso a causa di detriti o sedimenti), o direttamente da malattie dei coralli stessi. Dopo il fenomeno dello sbiancamento, la zona della barriera colpita è formalmente ritenuta morta: esiste qualche possibilità di ripresa, ma i sono casi estremamente rari.
Il 70% dell’ecosistema della barriera corallina giapponese, al momento, è stato ormai dichiarato morto, e il 90% compromesso. Nella situazione attuale, anche se si venissero miracolosamente (e inverosimilmente) a creare le condizioni adatte per la ripresa, ci vorrebbero decine di anni per riportare il reef al suo stato di antico splendore: perdere del tutto un tale patrimonio naturalistico vorrebbe dire anche ridurre notevolmente la popolazione di oltre 350 specie di coralli esistenti.
Ricordiamo che quello giapponese è solo uno dei molti casi di “sbiancamento” che si stanno verificando con sempre maggiore diffusione nel mondo: far morire senza intervenire gran parte delle barriere esistenti vorrebbe dire rischiare di sconvolgere il livello dei mari e delle correnti con conseguenze imprevedibili. È più che mai necessario ed urgente, quindi – e soprattutto gli Usa di Donald Trump devono rendersene conto – favorire accordi internazionali per frenare il degrado ambientale se non vogliamo vedere scomparire, nel tempo, tutte le barriere coralline che popolano i mari del nostro pianeta.