CIA: il grano italiano vittima di speculazioni
Il prodotto Made in Italy vittima di comportamenti da “caporale”, secondo il presidente Scanavino: “Stiamo assistendo a un vero e proprio sfruttamento del lavoro degli agricoltori, con prezzi sul campo insostenibili. Chiaro il disegno speculativo con scambi anche al di sotto del 50% rispetto ai valori medi degli anni passati. Mentre aumenta l’import e rimane troppo ampio il divario tra costo del frumento, pane e pasta. Serve subito un cambio di passo”.
I nostri produttori di grano sono oggetto oggi di un’azione di speculazione che non ha precedenti. Nel settore si sta assistendo a comportamenti di vero e proprio sfruttamento che purtroppo ricordano il fenomeno del caporalato da noi sempre condannato. In queste settimane, infatti, il sistema industriale e commerciale stanno imponendo agli agricoltori condizioni ormai insostenibili, ritirando il grano a prezzi inferiori anche del 50% rispetto ai valori medi degli anni passati e decisamente al di sotto dei costi di produzione. Lo afferma il presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino.
Così una campagna di raccolta positiva diventa un dramma per i cerealicoltori, costretti a competere, proprio al momento della trebbiatura, con la forte importazione di grano proveniente dall’estero, da parte di operatori commerciali che stanno svuotando le scorte in condizioni di dumping -evidenzia Scanavino-. In questa situazione non si differenziano neanche i Consorzi agrari che, invece di stoccare il prodotto, lo immettono sul mercato accrescendo di fatto la pressione sui prezzi. Si tratta di comportamenti speculativi e anticoncorrenziali che confermano ancora una volta l’urgenza di procedere a una radicale riorganizzazione del sistema. Tutto ciò determina che oggi 100 chili di frumento valgono quanto 7 chili di pane: un “gap” intollerabile e contro la logica delle cose -continua il presidente della Cia- che non può nemmeno lasciare indifferenti i consumatori, di fronte a una tale distorsione dei mercati.
Venticinque anni fa un quintale di frumento valeva circa 30.000 lire, gli attuali 15 euro, più o meno come le quotazioni di oggi del cereale più diffuso, ed è troppo il divario tra costo del frumento, pane e pasta. Se si fanno le debite proporzioni, c’è stata una perdita di valore che non ha eguali in altri prodotti. Ecco perché -conclude Scanavino- è tempo di dire basta a questi comportamenti scorretti sulla pelle dei produttori. Domani al Tavolo nazionale cerealicolo convocato al Mipaaf chiederemo che vengano riconosciute le nostre giuste rivendicazioni. Non è più possibile che il frutto del lavoro di un anno venga così svalutato e svenduto.