mercoledì, Gennaio 22, 2025
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Una mostra a Palazzo Braschi celebra le artiste di Roma

Fino al 23 marzo 2025, a Palazzo Braschi, è possibile perdersi in una selva di occhi femminili: sono quelli degli autoritratti di molte delle 56 pittrici, attive a Roma tra il tardo Rinascimento e l’epoca moderna, a cui è dedicata la mostra “Roma Pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo”.
Una mostra che in pratica traccia la storia della loro liberazione: una volta realizzati, infatti, i loro lavori erano spesso attribuiti a colleghi uomini, come i loro maestri o i loro familiari, e nessuno ricordava il nome di queste artiste di talento. Grande è quindi il merito delle curatrici della mostra, che hanno voluto raccontarci come a Roma queste artiste siano riuscite progressivamente ad affermarsi, trovare una loro dimensione, fare della città il loro luogo di studio e di lavoro e dare vita ad una produzione ricca, variegata e di assoluto rilievo artistico. 
Di queste pittrici, oltre a presentare i quadri, visitando la mostra è possibile scoprire le vicende private e quelle professionali, ammirando opere spesso dimenticate nei depositi dei più importanti musei nazionali e internazionali.
Il percorso espositivo è cronologico e tematico, e descrive il progressivo inserimento delle artiste nel mercato nazionale ed internazionale. Un percorso maturato anche attraverso una faticosa formazione e il non scontato accesso – spesso anche con limitazioni – alle più importanti istituzioni della città, come l’Accademia di San Luca, la Pontificia Accademia di Belle Arti e Letteratura dei Virtuosi al Pantheon o quella dell’Arcadia.
La mostra si apre con l’anonimo Ritratto di artista (XVII sec.) attribuito a Pietro Paolini: una pittrice di nature morte, di cui non si conosce il nome, mostra allo spettatore i suoi strumenti del mestiere e lo fissa negli occhi, invitando ad iniziare un viaggio lungo i secoli. 
Oltre a questo, un altro quadro può essere ugualmente considerato punto di partenza dell’esposizione: l’Autoritratto di Emma Gaggiotti con la sua famiglia (1853), esposto per la prima volta insieme ad altre quattro opere non note. 

Emma Gaggiotti nel materiale informativo sulla mostra

La Gaggiotti, isolata dal resto della famiglia, è la donna che appare nel materiale pubblicitario della mostra: un personaggio di valenza internazionale, vissuta quattro anni a Londra, che con questo evento viene completamente riscoperta. Nel 1851 aveva presentato un proprio autoritratto (esposto a Palazzo Braschi) alla Royal Academy, molto apprezzato dal mondo artistico e dalla Regina Vittoria, che ne commissionò una copia più grande da regalare al consorte Albert. Ed il suo successo continuò poi alla corte di Guglielmo I di Prussia.

Come la Gaggiotti, tante opere di pittrici sconosciute (come Giustiniana Guidotti, Ida Botti, o Amalia De Angelis, e molte altre, il cui catalogo si sta ricostruendo in questi ultimi decenni di ricerca) vengono qui esposte per la prima volta. 

Pittrici che, per talento e qualità delle opere, non sfigurano accanto colleghe più note come Artemisia Gentileschi, la svizzera Angelika Kauffmann e la bolognese Lavinia Fontana: “Pittora singolare (…) al pari delli primi huomini” a cui nel ‘600 fu dato il permesso, rarissimo per l’epoca, di realizzare importanti pale di altare sia in chiese di Bologna che di Roma. Di lei nella mostra si possono ammirare opere inedite o mai esposte prima, tra cui un suo autoritratto su rame.

Lavinia Fontana – Autoritratto alla spinetta (1577)

Tre opere rappresentano a Palazzo Braschi le tappe della carriera di Artemisia Gentileschi: della seconda fase romana (1620 ca.) il dipinto Cleopatra, che mostra la regina d’Egitto in pose che ricordano la statuaria classica, ma più drammatiche e sensuali; del decennio successivo L’Aurora mentre del periodo napoletano (1640 ca.) è Giuditta e la serva con la testa di Oloferne: una riproposizione di un dipinto del padre Orazio, ma con toni più tenebrosi.
Vicino alla Gentileschi è esposta poi, per la prima volta (unica opera sua nota, firmata), la Allegoria della poesia e della musica (1619 ca.) di Giustiniana Guidotti, formatasi presso la bottega del padre Paolo. Il coevo Giovanni Baglione, pittore e biografo di artisti, la definisce “una figliuola unica che con possibil diligenza, in tutte le virtù, sì di donna, come anche d’uomo, f’ammaestrare”.
Proseguendo nelle sale, assieme ad Anna Stanchi e Laura Bernasconi, detta anche Laura dei fiori, si fa notare la marchigiana Giovanna Garzani, attiva in varie corti europee e abile miniaturista di piante, fiori, frutti, animali. Ammessa all’Accademia di San Luca, di lei scrive: “Il mio desiderio è di vivere e morire a Roma”. 
A seguire una serie di ritrattiste, genere molto praticato per la difficoltà di accedere agli studi dal vero: pittrici che ritraggono loro stesse, la propria famiglia, ma anche importanti committenti. Qui è esposta l’unica opera conosciuta autografa della nobildonna Claudia Del Bufalo, di proprietà del cardinale Scipione Borghese. Ritrae la sorella Faustina, probabilmente in occasione delle sue nozze, un dipinto che rivela una profonda conoscenza dei canoni della ritrattistica di fine Cinquecento.

Ma tra il XVI ed il XVII secolo sono molte le artiste a Roma attive in settori diversi, a partire dall’architettura (presente l’“architettrice” Plautilla Bricci, ricordata in un libro di Melania Mazzucco, con i progetti di Villa Benedetti a San Pancrazio sul Gianicolo), dall’arte incisoria (spicca Diana Scultori, detta “Diana Mantovana”, ammessa tra i Virtuosi del Pantheon), dai disegni e dalle miniature. 

Arrivando alle sale dedicate al Settecento, è possibile scoprire il percorso artistico di Angelika Kauffmann, (qui il suo Ritratto di giovinetta in veste di baccante del 1801) che viene illustrato attraverso cinque dipinti. La nota pittrice internazionale, richiestissima, salonniére, collezionista, intellettuale, tra le fondatrici a Londra della Royal Academy, si stabilisce dal 1782 a Roma, ne fa il suo quartier generale, e la sua casa-atelier in via Sistina diventa luogo di incontro delle migliori menti della République des lettres.

Il XVIII secolo è un periodo in cui le pittrici si affermano sempre più sul mercato dell’arte e nelle istituzioni accademiche (ed ecco la francese Élisabeth Vigée in fuga dalla Francia rivoluzionaria, e le romane Maria Felice Tibaldi e Caterina Cherubini): la frequentazione di Roma nel Grand-Tour determina in particolare un aumento delle commissioni di copie di formato trasportabile e miniature di capolavori antichi e moderni, di ritratti e di opere di soggetto religioso che riprendono modelli seicenteschi. Ma molte si cimentano anche nell’arte del paesaggio classico, altro richiestissimo genere: tra loro, la nobile genovese Maria Luisa Raggi, suora per costrizione, o la figlia del celebre Giovan Battista Piranesi, Laura, avviata dal padre all’arte incisoria, che si specializza nel genere della veduta.

Il XIX secolo è l’epoca in cui le artiste a Roma si cimentano in tutti i generi pittorici, mostrando così una nuova versatilità. Oltre ai ritratti, si dipingono soggetti di storia o religiosi, nature morte e paesaggi: Matilde Meoni riprende i maestri nordici del Seicento, Camilla Guiscardi realizza grandi scene di soggetto storico religioso, come Le donne genovesi offrono le loro gioie per la Crociata (1840), la francese Hortense Lescot, con il suo Il piccolo mendicante (1810) preannuncia il nuovo gusto romantico. 

I motivi per cui vale visitare la mostra, inaugurata il 25 ottobre, non si fermano qui: a corredo dell’esposizione, infatti, è previsto anche un ciclo di incontri aperti al pubblico dove verranno toccati altri ambiti disciplinari in cui la presenza delle donne è stata rilevante e ha lasciato il segno nel tempo.

La mostra è poi progettata per essere fruibile dal più ampio pubblico possibile: è prevista infatti la possibilità di ascolto di approfondimenti audio e di fruizione tattile di alcune opere in originale e in riproduzione. Sono inoltre in programma appuntamenti guidati accessibili a persone con disabilità visiva e uditiva.

Per chi volesse saperne di più, tutti i dettagli si trovano a questo sulla pagina dedicata del Museo di Roma.

Autore

  • Silvia Gravili

    Nata nell’81, dopo la laurea magistrale conseguita con lode e un dottorato di ricerca su sviluppo territoriale, turismo, sostenibilità e valorizzazione dei prodotti tipici delle filiere agroalimentari e artigianali, si è specializzata in Social media management. Esperta di comunicazione istituzionale, relazioni pubbliche e comunicazione di sostenibilità, attualmente svolge la sua attività al CIHEAM, l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari.

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