Fitotecnologie: soluzione per bonificare siti contaminati?
di Gianluca De Angelis
Tra le numerose criticità ambientali che siamo costretti ad affrontare, è di grande attualità il problema dei siti contaminati, che vanno dai cosiddetti “Siti di Interesse Nazionale”, alle discariche che risultano non conformi alla normativa europea, fino ai siti censiti dai piani regionali di bonifica. Si stima che in Italia il problema dei siti contaminati interessi il 4% dell’intero territorio: la soluzione è solo una, ovvero la bonifica, ma per ripulire un determinato terreno i metodi sono molti, da scegliere a seconda del caso specifico. Una delle strategie più interessanti in questo senso è il fitorisanamento: questa tecnologia utilizza delle piante in grado di “estirpare” dal terreno inquinato le sostanze contaminanti. In questo ambito, che riguarda prevalentemente le risorse costituite da suolo e acqua i nuovi indirizzi legati all’economia circolare, le difficoltà amministrative, nonché la scarsità di fondi pubblici legata alla contingente crisi economica, hanno spinto le amministrazioni locali a prendere in considerazione l’impiego di queste nuove tecnologie e di nuovi approcci al problema, al fine di garantire, nel modo più sostenibile possibile, la messa in sicurezza o il recupero delle aree contaminate. Il ricorso alle fitotecnologie sta incontrando un interesse sempre maggiore e risulta ora costantemente in crescita nell’intento di eliminare, immobilizzare, degradare, o anche soltanto monitorare la contaminazione nel terreno e nelle acque.
Il fitorimedio, che sfrutta l’azione delle piante e dei microrganismi del suolo ad esse associati per attenuare la contaminazione nel terreno, rispetto ad altre tecniche tradizionali, presenta dei vantaggi interessanti dal punto di vista della sostenibilità del processo. E’, infatti, un tipo di intervento meno invasivo, si realizza con costi di gestione bassi, offre benefici sia dal punto di vista paesaggistico che in termini di sottrazione di CO2 dall’atmosfera, in quanto vengono impiegati organismi fotosintetizzanti e l’impatto dovuto ai trasporti e all’utilizzo di macchinari è minimo.
Questa tecnica può essere applicata sia per la rimozione di contaminanti inorganici, come per esempio i metalli pesanti, sia per la pulizia da contaminanti di origine organica. Questo tipo di bonifica, inoltre, viene applicata in situ: non richiede dunque nessuno scavo o spostamento di terreno, avendo come prerogativa fondamentale quella di non alterare le proprietà fisico-chimiche originali del suolo. Di fitorimendio (“phytoremediation”) non ne esiste solamente un tipo: ad ogni tipo di inquinante da estirpare, infatti, corrisponde una diversa tecnica. Il tipo di fitorisanamento più adatto per i suoli contaminati da metalli è per esempio la fitoestrazione, un meccanismo attraverso il quale le piante in questione assorbono le sostanze nocive contenute nel terreno mediante le proprie radici: in questo modo i contaminanti vengono accumulati nella pianta, soprattutto nei germogli e nelle foglie. Mediante la potatura, dunque, sarà possibile eliminare le sostanze inquinanti dal suolo. La fitostabilizzazione, invece, punta non tanto all’estrazione quanto alla stabilizzazione degli elementi contaminanti, in modo da ridurne la mobilità nel suolo. Nel caso di contaminanti organici, invece, si può ricorrere alla fitodegradazione: in questo caso le piante metabolizzano e degradano i contaminanti, anche grazie alla propria azione enzimatica.
Ma questa tecnologia, per quanto naturale, presenta comunque delle complessità, oltre che dei limiti: richiede tempi lunghi e una profonda conoscenza dei contaminanti e delle piante in grado di eliminarli. Inoltre, la difficoltà principale è probabilmente quella di mantenere in vita la vegetazione scelta di fronte alla elevata quantità di sostanze contaminanti contenute nel suolo da bonificare. Questo dimostra che questa tecnica di bonifica non si può improvvisare, perché è necessaria una dettagliata valutazione del terreno sostenuta da apposite analisi di laboratorio.