sabato, Novembre 23, 2024
AgricolturaAmbiente

Dove va l’agricoltura italiana, spinta dai cambiamenti del clima?

Stagioni sempre più imprevedibili ed eventi meteorologici estremi sempre più frequenti: sono queste le caratteristiche che il clima Mediterraneo sta acquisendo negli ultimi anni, con impatti pesanti sulle produzioni agricole italiana. Il resoconto di valutazione sugli effetti degli eventi meteorologici estremi pubblicato dal WWF nell’ambito della campagna “Our Future”  non lascia spazio a dubbi: ondate di calore, siccità prolungate, piogge torrenziali o gelate tardive stanno mettendo a dura prova uno dei sistemi cardine dell’economia del nostro Paese, che rappresenta ben un terzo del fatturato delle imprese italiane.

Si tratta di un fenomeno globale, ma che nell’area mediterranea si sta manifestando, secondo gli studiosi, con fenomeni di intensità maggiore; tra i Paesi dell’area mediterranea, poi, l’Italia è quello che ne sta risentendo prima e più di altri per via delle sue caratteristiche orografiche.

Del resto, nell’anno che ormai volge al termine sembra certo il superamento della soglia di +1,5°C posto dalla Conferenza di Parigi come da non superare. 

Più le temperature aumentano, però, più gli eventi estremi rischiano di infittirsi e aggravarsi: in Italia ad oggi sono stati più di 7 ogni giorno (Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche). E se si guarda al dato degli ultimi 10 anni, il numero di queste manifestazioni atmosferiche violente è più che quintuplicato. Forti sono gli impatti sulla nostra agricoltura: da un lato gravi allagamenti e precipitazioni estreme al Nord, dall’altro siccità al Centro-Sud. In entrambi i casi, però, i risultati sono i medesimi: perdita di raccolti e allevatori costretti a misure estreme.

Il grano duro, per esempio, ha mostrato un calo della produzione di quasi l’8% rispetto all’anno precedente, mentre la produzione dell’olio è calata del 23%. Ma sono le pere l’emblema della crisi produttiva che negli ultimi anni sta interessando il nostro Paese: alte temperature e siccità indeboliscono infatti le piante e le rendono più vulnerabili all’azione dei patogeni, causando una perdita di produttività del 75% e un danno quantificato di 340 milioni di euro.

L’impatto dei cambiamenti climatici si sta facendo sentire anche sulla produzione vinicola che, nonostante mostri un segnale di ripresa del +7% per la vendemmia 2024 rispetto al 2023, vede raccolti che al Centro-Sud rimangono al di sotto della media degli ultimi anni. A causa dell’aumento delle temperature, infatti, la viticoltura si stia spostando sempre più in altitudine, con vigneti piantati, nel nostro Paese, a 700, 800, 900 e 1.000 metri. Un drastico cambiamento nella geografia della produzione vinicola nazionale.

La situazione di estrema difficoltà che l’Italia sta attraversando è confermata dai dati che riguardano i bacini dell’Italia Centrale, alle prese da anni con una significativa riduzione dei volumi di acqua. Nel Lazio, ad esempio, sono tornati a scendere i livelli dei laghi vulcanici, che sembrano non trarre benefici da eventi meteorici importanti come quelli che hanno interessato la provincia di Roma durante i mesi di settembre ed ottobre: il lago Sabatino ha infatti perso 7 centimetri dall’ultima rilevazione di fine ottobre, mentre quello di Nemi ne ha persi 4 nella scorsa settimana. L’unico dato in aumento riguarda il fiume Tevere, la cui portata è cresciuta di circa il 21%; sono invece in calo quelle di Aniene e Velino mentre resta stabile il Fiora.

Se il Centro-Sud è alle prese con temperature sempre più tropicali, al Nord le troppe precipitazioni e i conseguenti allagamenti hanno compromesso in molte zone l’uso dei suoli per lungo tempo, non permettendo l’accesso nei campi ai mezzi agricoli, danneggiando le colture a pieno campo come il mais (di cui si stima un calo produttivo di oltre il 30%), ritardando le semine e la raccolta del fieno (con inevitabili ripercussioni anche sul settore zootecnico) e danneggiando tanti impianti frutticoli. Come conseguenza, le rese agricole sono in picchiata.

Un altro settore che è stato particolarmente compromesso è quello dell’apicoltura. Danneggiato sia il raccolto dei mieli primaverili, come il pregiato miele d’acacia, sia quello dei mieli monoflorali come il miele di sulla: una situazione di crisi grave, che mette molte aziende professionali a rischio di chiusura. Un altro aspetto da considerare è l’effetto che l’innalzamento delle temperature provoca direttamente sulle api, influendo negativamente sul loro stato di salute e la loro longevità, e sulla presenza parassiti e di predatori, come il temibile calabrone asiatico o la Vespa velutina.

Ma anche la mitezza crescente delle temperature invernali costituisce una minaccia per tutte le piante perenni: senza un abbassamento della temperatura, queste non riescono a “resettare” il ciclo di crescita annuale (crescita delle radici, poi dei germogli e fruttificazione). Con inverni non freddi, cioè, è molto più difficile per le piante ripartire in primavera: un danno per la nostra biodiversità e una minaccia per la vita di tante piccole e medie aziende, che sono il tessuto del nostro mondo rurale.

Autore

  • Silvia Gravili

    Nata nell’81, dopo la laurea magistrale conseguita con lode e un dottorato di ricerca su sviluppo territoriale, turismo, sostenibilità e valorizzazione dei prodotti tipici delle filiere agroalimentari e artigianali, si è specializzata in Social media management. Esperta di comunicazione istituzionale, relazioni pubbliche e comunicazione di sostenibilità, attualmente svolge la sua attività al CIHEAM, l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari.

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